giovedì 5 dicembre 2013

IL CALCIO BAILADO-RONALDINHO

Quando sarò vecchio e mi chiederanno di raccontare una storia di un calciatore che ho visto giocare, racconterò la storia di Ronaldo de Assis Moreira, al secolo, RONALDINHO. Stiamo parlando di un giocatore stellare, una leggenda del calcio mondiale. La prima volta che ho visto giocare Ronaldinho si giocava Brasile-Cina ai Mondiali 2002, e il Gaucho giocava nel tridente verdeoro insieme a Ronaldo e Rivaldo, ma non sfigurava di certo a confronto con questi due mostri sacri del calcio(Ronaldo chiuderà il campionato con 8 gol). Quello che trasmetteva Ronaldinho in campo era la felicità, un'allegria smisurata nel giocare a calcio, talmente tanta che sembrava stesse giocando ai giardini e non in uno stadio da 80000 persone. Sorriso stampato sulle labbra e palla filtrante, questo il credo del calcio di Ronaldinho. Non è sempre stato in forma smagliante, qualche chilo di troppo in alcune occasioni (ma d'altra parte è brasiliano, è un vizio), ma quando entrava in campo, tutto cambiava. Si fa conoscere al mondo col suo primo mondiale, quello del 2002, in cui gioca così bene che viene acquistato dal Barcellona, l'anno dopo. A Barcellona Ronaldinho trova un'ambiente perfetto per esprimere il suo gioco: modulo adatto a lui, città che non si stanca mai di divertirsi, compagni di squadra che esaltano le sue caratteristiche. Con Rjikard come allenatore, Ronaldinho diventa un leader dello spogliatoio blaugrana, e soprattutto l'esterno sinistro più forte del calcio mondiale. Eh si, dal 2003 al 2008 vince un Pallone d'Oro e due FIFA World Player, 2 LIGA e 1 Champion's League trascinando il suo club in finale con prestazione fantastiche. Ha fatto segnare centinaia di gol ai suoi compagni, ma ne ha segnati altrettanti, ed alcuni davvero stupendi: così a memoria mi ricordo una rovesciata particolarissima segnata dal Gaucho contro il Villareal: cross di Xavi dalla destra, stop di petto e gol sotto la traversa. Una rete bellissima, una delizia per gli occhi. Ma se devo pensare al gol più bello di tutti, al gol che rappresenta il Calcio Bailado e in generale la visione del calcio di Ronaldinho, mi viene in mente il gol che segnò nella stagione 2005/2006 contro il Real Madrid al Santiago Bernabeu: palla al piede, 3 dribbling partendo da metà campo in velocità e appoggia in rete con un tocco che spiazza il portiere. Un gol di una bellezza unica che ho ancora bene impresso in mente. Ma la cosa più sorprendente è che, nonostante la rivalità tra Castillani e Catalani, quando fu sostituito, tutto lo stadio si alzò in piedi per applaudirlo, situazione verificatasi solo per un altro giocatore, non so se lo conoscete, Diego Armando Maradona.
La sua avventura al Barcellona finisce con l'avvento di Guardiola alla guida del club catalano; varie incomprensioni, Guardiola che evidenzia in Messi il suo leader carismatico dello spogliatoio e silura per questo alcuni giocatori,tra cui Ronaldinho ed Eto'o. Il Gaucho trova squadra al Milan, mentre il centravanti camerunense all'Inter. E' l'inizio di una nuova avventura, non molto prolifera, ma mi ha permesso di vederlo dal vivo, per fortuna. Vederlo dal vivo è una cosa emozionante, perchè trasmette davvero la felicità che lo contraddistingue e fa divertire chiunque lo guardi. Finisce la sua avventura a 6 mesi dal termine del contratto, trasferendosi al Flamengo, con cui vince il Campionato Paulista. Alla presentazione migliaia di persone si riversano in piazza per vedere il loro nuovo acquisto, che si commuove alla vista di tanto affetto. L'anno finisce con Ronaldinho che si trasferisce alla sua attuale squadra l'Atletico Mineiro, con la quale vince la sua prima Copa Libertadores. E' un campione fantastico, che ha fatto la storia del calcio catalano, milanista e del calcio Mondiale: non importa per che squadra tifi, non puoi che rimanere stupito ad ogni tocco di palla di RONALDINHO GAUCHO

sabato 23 novembre 2013

ENGLISH FOOTBALL

Si dice, o meglio, gli inglesi dicono che il calcio è nato a Londra il 26 Ottobre 1863. Questa data in realtà sancisce la nascita del calcio moderno, come lo intendiamo noi, perchè si hanno notizie di giochi molto simili praticati fin dall'antichità. Ma quello che nasce il 26 Ottobre 1863 non è uno sport, ma una filosofia di vita. Il calcio inglese abbina sport, agonismo, lealtà e, last but not least, charity. Charity è un concetto che può essere tradotto con la parola carità, ma non comprende l'accezione cristiana della parola, non è dare soldi e fregarsene di quello che succede; si avvicina di più alla parola service, cercare di aiutare con le proprie forze e non con i propri soldi. Moltissimi giocatori vengono impegnati in giornate di sport con giovani delle Academies inglesi. La First Division inglese è stata dal 1888 al 1992 la prima divisione inglese; dal 1993 in poi si gioca il campionato più bello del mondo, la Premier League. Alla base della Premier League non ci sono solo gli interessi a voler contrattare autonomamente i diritti televisivi da parte delle singole squadre (cosa che non era possibile prima, in quanto erano contrattati dalla lega calcio inglese); c'è anche altro secondo me. Il 29 Maggio 1985 si consuma allo stadio Heysel una delle stragi più terribili mai avvenute durante una manifestazione sportiva. Il racconto della strage esulerebbe dalla mia trattazione, quindi parlerò solo della parte che mi interessa: come ho scritto qualche rigo più in sù, il calcio inglese oltre ad agonismo è anche lealtà e fair play. Quello che si vide allo stadio Heysel non era umano, era qualcosa di atroce, con persone che si lanciavano nel vuoto dal secondo anello per evitare di essere schiacciate dalla furia omicida degli Hooligans inglesi. La FA non passerà indenne questa tragedia, ma comunque ne uscirà profondamente cambiata. Dal 1993 ci sono, con l'avvento della Premier League, norme molto più rigide negli stadi, se fai cazzate non ci metti più piede, perchè la partita è e deve essere un momento di divertimento, di ricreazione, di socialità e magari di qualche birra di troppo in perfetto stile inglese. La strage dell'Heysel è quindi, probabilmente una delle scintille che hanno fatto partire il motore e che hanno contribuito a creare un campionato bellissimo. Il campionato. Ma davvero pensate che un giocatore vada in Inghilterra per vincere il campionato? Se vai a giocare in Inghilterra ci vai per vincere l'FA Cup, la coppa nazionale. Questo ha bevuto troppo, direte. E invece no: sembra paradossale, ma vincere l'FA Cup  supera la vittoria del campionato. La formula della manifestazione è semplice: tutte le squadre professionistiche partecipano alla coppa, elemento che favorisce le squadre più piccole perchè giocano in casa in modo da poter ottenere un buon incasso. La vittoria dell'FA Cup dà l'accesso diretto alla UEFA Europa League, ma quello è soltanto una cosa in più, visto che spesso le finaliste sono 2 delle prime 4 che si qualificheranno in Champion's League. Tra parentesi, è anche la manifestazione sportiva regolarmente svolta più antica del mondo. Tra i vincitori dell'FA Cup c'è anche un giocatore che permette di inquadrare abbastanza bene lo spirito del calcio inglese: David Beckham, oltre ad essere rinomato per la sua bellezza, è stato anche un calciatore. Uno dei suoi gol più belli lo mise a segno a inizio carriera con la maglia del Manchester United, tirando da centrocampo un morbido pallonetto che scavalcò il portiere. Ma il gol più significativo segnato da Beckham nella sua vita è stato quello che mise a segno con la maglia della nazionale inglese in un match contro l'Argentina, alla Coppa del Mondo del 2002. C'è però un'antefatto importante: nel 1998, sempre alla coppa del mondo, sempre contro l'Argentina, Beckham fu espulso causando indirettamente l'eliminazione dal torneo dell'Inghilterra. Espulso in un match normale? Eh no! Inghilterra-Argentina non è un match come gli altri. tra le due squadre e tra le due tifoserie esiste infatti un'insolita rivalità, credo forse l'unica a livello intercontinentale, talmente sentita da far chiamare agli argentini "clasico" la partita contro gli inglesi. Il primo match risale alla coppa del mondo 1966 giocata in Inghilterra e vinta dai padroni. Ad alimentare ulteriormente la rivalità ci fu la guerra delle Falkland del 1982. Avamposto inglese, le Falkland sono un'importante giacimento di minerali, e sopratutto sono vicine all'Antartide, che prima o poi si scioglierà, rivelando le sue ricchezze del sottosuolo. Gli argentini le invasero, ma in pochi giorni tutto tornò come prima. Ma torniamo a David Beckham. Nel 1998 fu criticato pesantemente dalla stampa per quell'espulsione, indicata come principale causa dell'eliminazione della squadra. Sono inglesi, c'è poco da fare. Ma per Beckham si presenta un'occasione per rifarsi, ai Mondiali successivi, nel 2002, di nuovo l'Argentina, di nuovo Beckham, ma stavolta capitano e segna il rigore che aiuta la sua squadra a vincere. 
Potrei quindi aggiungere la parola patriottismo alla definizione di calcio inglese? Sport, Agonismo, Lealtà, Charity e Patriottismo. Aggiungiamo anche la Birra, che non guasta mai quando si parla di ENGLISH FOOTBALL

sabato 16 novembre 2013

MANCHESTER UNITED STORY, PART 9: RYAN GIGGS-THE WELSH WIZARD


“È imbarazzante da dire, ma in tutta la mia vita ci sono stati due calciatori che mi hanno fatto piangere quando li ho visti giocare: il primo era Roberto Baggio, il secondo era Ryan Giggs.” Alessandro Del Piero

È impossibile scrivere la storia del Manchester United senza menzionare Ryan Giggs. E mi sembra giusto terminarla con un articolo dedicato al Mago Gallese. Molti di noi non erano ancora nati quando ha incominciato a vestire la maglia rossa dello United. E nessuno può immaginarsi i Red Devils senza di lui. Colui che ci è sempre stato dal 1987, anno in cui cominciò a giocare nelle giovanili, ad oggi. Colui che ha battuto qualsiasi record possibile ed immaginabile per un calciatore. Colui che ha battuto addirittura Sir Alex Ferguson per longevità all’Old Trafford. Solo un Mago poteva riuscirci. Eppure la sua carriera non comincia allo United. Comincia sempre a Manchester, sì.  Ma dalla parte sbagliata della città. La prima maglia indossata da Ryan infatti è la casacca azzurra degli odiati rivali del Manchester City. Non un grande inizio per chi sarebbe diventato una delle più grandi bandiere dei Red Devils di tutti i tempi. Giggs però si farà perdonare dai tifosi dello United per quel piccolo abbaglio giovanile con una carriera formidabile. Il suo approdo nella parte rossa di Manchester è l’ennesima intuizione di Sir Alex che lo vuole a tutti i costi e lo strappa al City, portandolo nelle giovanili dei Red Devils: “Mi ricordo la prima volta che l’ho visto giocare. Aveva solo 13 anni e scorrazzava sul campo come un cane che insegue un pezzo di carta portato via dal vento”, dirà molti anni dopo lo scozzese.
Dopo 3 anni passati nelle giovanili, diventa professionista il 29 novembre 1990 nel giorno del suo diciassettesimo compleanno. Debutta in Premier League pochi mesi dopo e segna il suo primo gol durante il derby di Manchester, per l’ 1-0 decisivo. I 2 anni passati nelle giovanili dei Citizens sono solo un brutto ricordo. La sua classe è indiscutibile, il suo talento cristallino e le sue impressionanti doti di instancabile corridore e assist-man lo affermano a livello mondiale, con la stampa del tempo che lo acclama come un “ragazzo prodigio” ed un possibile “nuovo George Best”. Condividere il campo da calcio e lo spogliatoio con altri campioni come Cantona, Keane, Scholes, Beckham lo consacra definitivamente nell’Olimpo dei più grandi di tutti i tempi. Nonostante alcuni scandali sessuali (pare che Ryan abbia frequentato per 8 anni la moglie di suo fratello) ne abbiano macchiato l’immagine fuori dal campo, dentro il campo è sempre stato irreprensibile e disciplinato ed un modello da seguire. Basti pensare che in 23 anni con la maglia dello United non ha mai ricevuto un cartellino rosso. Questo è solo uno dei tanti record conseguiti dal Mago Gallese. Ecco alcune statistiche che fanno di Giggs un giocatore insuperabile e una leggenda vera e propria, non solo per quanto riguarda il calcio inglese, ma per il mondo del calcio in generale:
è il calciatore che ha vinto più trofei nella Premier League e con la maglia del Manchester United (37);
è il giocatore con più presenze nella Premier League (664) e con il Manchester United (950);
è il calciatore con più assist nella Premier League (271);
è l’unico giocatore ad aver segnato almeno un gol in tutte le stagioni della Premier League;
è uno dei pochi calciatori ad aver disputato almeno 1000 partite in carriera da professionista;
è il giocatore con più presenze in assoluto nella Champions League (145).
Per un calciatore con un curriculum del genere le parole sono superflue. La frase di Ron Atkinson, ex manager del Manchester United, riassume meglio di qualunque cosa la figura di Ryan Giggs: “Ryan ti fa credere che esista davvero un Dio del calcio.”
E la sua carriera allo United non è ancora finita…

FINE  

giovedì 7 novembre 2013

LA "NUOVA" GERMANIA

Una delle nazionali più presenti nelle fase finali dei Mondiali degli ultimi, boh, facciamo 20 anni è la Germania. La nazionale teutonica deve questa fortuna alla sua grande cultura calcistica, e soprattutto al grande Bayern Monaco, squadra da sempre presente ai vertici del calcio europeo. Beckembauer e Muller, Matthäus e svariati altri giocavano nel Bayern; erano una generazione che esprimeva al massimo l'ideale della razza ariana attuato da Hitler qualche anno prima, prevedendo solo matrimoni tra tedeschi puri: tutti i giocatori della Germania fino agli anni 90 sono tedeschi al 100%. Vedendo la nazionale della Germania attuale, o meglio, da una decina d'anni a questa parte, i gerarchi nazisti probabilmente si rivolterebbero nella tomba svariate volte. Si, oggi, nella formazione tipo, ci sono almeno 4 o 5 giocatori di origini non tedesche. La Germania degli anni 80, sebbene fosse spaccata in due dal muro di Berlino, era una fucina di posti di lavoro, un'occasione per migliaia di persone, europee e non, che avevano la possibilitá di ottenere un'occupazione ben retribuita e un'opportunitá di vita migliore per le proprie famiglie: turchi, italiani, africani, asiatici, i vicini polacchi emigrano in Germania in cerca di una nuova vita. É in questo contesto che si sviluppa la nuova società tedesca, multietnica come non mai e, di conseguenza la nuova nazionale di calcio tedesca. Özil, Klose, Khedira, Boateng, Gomez e Podolski, tutti giocatori che hanno fatto la fortuna della Germania e ancora la faranno per qualche anno, sono di origini extragermania. É una questione che fa riflettere tanto sui grandi vantaggi che una nazione può ottenere dalla Globalizzazione, come per quanto riguarda il Belgio di cui ho giá scritto.  Probabilmente, invece di sbatterli in centri di recupero, riformulare una Legge come la Bossi-Fini, una cagata pazzesca, e permettere agli stranieri di arrivare in Italia per apportare le proprie conoscenza, esattamente come fanno gli italiani all'estero, sarebbe un'ottima opportunità per la nazione, ovviamente non solo calcisticamente. Sono troppo visionario? La Germania ed il Belgio ci hanno fatto fortuna, noi arranchiamo, come al solito, ma qualcosa si muove con nuovi figli di immigrati cittadini italiani. Staremo a vedere

domenica 3 novembre 2013

MANCHESTER UNITED STORY PART 8: THE TREBLE – THE IMPOSSIBLE DREAM

“Spuntai sul campo e rimasi confuso. Pensai: ‘Non è possibile, chi ha vinto sta piangendo e chi ha perso sta ballando’.” Lennart Johansson, ex presidente della Uefa, che durante Manchester-Bayern finale Champions 1999 - per dirigersi verso la premiazione - entrò in ascensore a 2' dalla fine, e spuntò sul campo poco dopo il fischio finale.

La stagione 1998-1999 è scolpita ad imperitura memoria nelle menti dei supporter del Manchester United. Il sogno di qualunque tifoso nel mondo è quello di poter vivere almeno una volta nella vita ciò che hanno vissuto i fan dei Red Devils quell’anno. Non a caso la conquista del Treble è sempre stata considerata un sogno impossibile. Si comincia con la Premier League. Lo United perde solo 3 partite durante tutta la stagione, con una impressionante striscia di 33 match consecutivi senza una sconfitta. Tuttavia è costretto a fare i conti con la tenacia dell’Arsenal, che non è intenzionata a mollare il titolo. Il Manchester supera l’Arsenal alla terzultima giornata e, dopo aver rischiato di perdere il trofeo all’ultima partita, andando in svantaggio contro il Tottenham, riesce a rimontare e a candidarsi campione d’Inghilterra con un solo punto di distacco dai Gunners. Una settimana dopo arriva anche la FA Cup vinta ai danni del Newcastle. L’Arsenal è battuto anche stavolta al fotofinish, in semifinale, con un gol di Giggs nei tempi supplementari. Ma è in Champions League che lo United consuma la sua vittoria più significativa. La finale del 1999 al Camp Nou di Barcellona è degna di entrare nella storia come una delle finali più belle ed emozionanti di tutti i tempi, a pari merito con la finale del 2005 tra Milan e Liverpool. Lo United arriva favoritissimo allo scontro decisivo con il Bayern Monaco, nonostante le assenze di Roy Keane e Paul Scholes a centrocampo. Il ruolino di marcia dei Red Devils è di tutto rispetto, essendo usciti imbattuti da un girone con Barcellona e Bayern Monaco e avendo eliminato Inter e Juventus. D’altro canto i tedeschi, penalizzati anche loro da due assenze di tutto rispetto come Lizarazu e Giovane Elber, hanno avuto una strada più facile avendo dovuto affrontare Kaiserslautern e Dinamo Kiev. La partita inizia in salita però per la compagine inglese. Dopo 6 minuti di gioco Mario Basler sorprende Schmeichel con una punizione al limite dell’area. Palla che si insacca a fil di palo nell’angolo basso alla sinistra del portiere e Bayern che conduce 1-0. Gli inglesi soffrono l’assenza dei due pilastri Keane e Scholes a centrocampo, e non riescono a creare occasioni da gol. Dall’altro lato i tedeschi si difendono molto bene e continuano ad essere pericolosi nei pressi della zona presidiata da Schmeichel. Il primo tempo si conclude con il Bayern in vantaggio di un gol. Ed è proprio all’intervallo che comincia la prima parte dell’impossible dream e ancora una volta l’artefice è Sir Alex Ferguson. Lo scozzese sale in cattedra e dà lezioni di orgoglio e grinta allo spogliatoio: 
“Alla fine di questa partita la Coppa sarà solo a due metri di distanza da voi, ma non sarete nemmeno in grado di toccarla se perdiamo. E per molti sarà la volta in cui vi avvicinerete di più ad essa. Non osate tornare in campo senza dare tutto.”
Nonostante il discorso nello spogliatoio lo United continua a soffrire gli attacchi tedeschi, guidati da un indiavolato Basler. E Ferguson costruisce la seconda parte del sogno inserendo in campo Teddy Sheringham e, a 10 minuti dalla fine, Ole Gunnar Solskjaer. Le sostituzioni si rivelano azzeccatissime. I nuovi entrati producono tre azioni da gol in poco tempo, tutte sventate da Kahn. La Coppa si sta avvicinando pericolosamente alla Germania. Il guardalinee segnala 3 minuti di recupero e i supporter inglesi sugli spalti vedono sfumare il sogno davanti ai loro occhi. Ma è proprio nei minuti di recupero che l’impossible dream si realizza. I Red Devils tentano il tutto per tutto con un vero assalto alla porta difesa da Kahn. E conquistano un calcio d’angolo. Clive Tyldesley, commentatore per una tv inglese si lascia sfuggire una frase profetica: “Riuscirà il Manchester a segnare? Di solito segna sempre…” Salgono tutti in area di rigore, anche Schmeichel è nel mucchio. La palla arriva proprio verso di lui, poi viene allontanata verso Giggs che svirgola una conclusione, ma che si rivela un assist per Sheringham; Teddy non fallisce sotto porta e pareggia i conti tra l’euforia del pubblico e della panchina. I tifosi sugli spalti accendono i fumogeni: è il delirio più totale. Ma il meglio deve ancora venire. Qualsiasi squadra al mondo si sarebbe limitata ad aspettare i tempi supplementari, con un minuto e mezzo rimanenti sul cronometro. Non è il caso del Manchester United. I Red Devils continuano ad attaccare e guadagnano un secondo calcio d’angolo a 50 secondi dalla fine. E Clive Tyldesley annuncia l’ennesima profezia: “Ormai andremo ai tempi supplementari, a meno che Solskjaer non riesca a fare un’altra magia. Dovete capirlo..Questo è l’anno del Manchester United. Sarà questo il loro momento?” Ed effettivamente è proprio questo il momento dei Red Devils, ed è proprio Solskjaer a compiere il miracolo. Beckham batte il calcio d’angolo e il norvegese insacca con una conclusione ravvicinata. Il Manchester raggiunge la terra promessa. Il sogno è compiuto, Schmeichel fa le capriole, i tifosi piangono, un boato sommerge il Camp Nou. Brividi. I tifosi e i giocatori del Bayern sono attoniti, non riescono nemmeno a piangere da quanto è stata scioccante la sconfitta. Per ogni supporter dello United è il momento più bello della vita, un miracolo. Come hanno scritto i giornalisti inglese questa non è stata una rimonta, è stata una resurrezione. Una vittoria semi-divina in due minuti, i due minuti più mozzafiato della storia sportiva. 120 secondi che hanno coronato una stagione incredibile, che hanno insegnato a tutti che se continui a provarci, puoi riuscire nelle imprese, anche quelle più ardue. L’impossible dream si è realizzato, nel modo più bello di tutti.
Continua…

LA TRISTEZZA DELLE RACCOMANDAZIONI, ANCHE NELLO SPORT

Meritocrazia. Una caratteristica che spesso non viene valorizzata, quasi come se si avesse paura della potenza di questa parola. Si preferisce spesso assegnare in posti che non gli competono persone che non meriterebbero la metà di quello che invece ottengono, a discapito di coloro che in realtà possiedono i meriti per occupare quelle posizioni. Un esempio lampante, perfetto, e quanto mai più delucidante è quello che si è appena manifestato, a mio parere, all'interno della sezione sportiva della più grande emittente televisiva italiana, Sky. Questi signori portano soggetti di grande competenza in trasmissione, spesso ex giocatori (Marchegiani, Costacurta, Di Gennaro, Adani), per commentare le partite o per partecipare allo show del pomeriggio, che permette loro di fare domande agli intervistati. Tra questi, c'è anche una persona che oltre ad essere incompetente e raccomandata, è anche di un'antipatia unica. Costui è Massimo Mauro. 
Massimo Mauro è un'ex giocatore di varie squadre italiane, e da quando è a Sky sport, non ha fatto altro che raccogliere antipatie con commenti diffamanti rivolti all'operato degli arbitri, ai presidenti, agli allenatori e perfino ai giocatori. Insomma, tutti ce l'hanno con lui, proprio come lui ce l'ha con tutti. Ma il vero problema è che a Sky Sport c'è un commentatore ed opinionista sportivo che ne sa più di tutti gli opinionisti sportivi del pianeta: Federico Buffa. Quest'uomo, avvocato di professione, parla 6 lingue, e ne sa di calcio e basket come nessun'altro. Ha una capacità di argomentare discussioni su qualunque tema, ma soprattutto di catturare l'ascoltatore, che rimane incantato mentre lui parla (più volte mi sono trovato a passare anche un'ora e mezzo di fila davanti al computer ad ascoltare i suoi racconti su personalità dello sport). Qual è il motivo per cui ho tirato in ballo l'Avvocato, storico commentatore dell'NBA insieme al suo collega Flavio Tranquillo? Qualche giorno fa, sky ha annunciato che Buffa non avrebbe fatto più parte del "progetto" NBA, perchè la produzione lo vuole tenere per i Mondiali di calcio 2014, l'evento di punta di questa stagione sportiva; ma dov'è il problema? Il problema è che Buffa non condurrà nessuna trasmissione, dovrà solo raccontare delle storie commemorative dei Mondiali, quando magari in studio a commentare ci sarà Massimo Mauro. Questo è il potere della raccomandazione: annullare, annichilire, depauperare la meritocrazia. Sempre fedele a Federico Buffa, il giornalista-avvocato-mito che mi ha ispirato ad aprire questo blog, con la forza delle sue parole.

venerdì 1 novembre 2013

LA TRISTE STORIA DI FELICE NATALINO


Il sogno di tutti i ragazzini che amano questo sport, é solo uno: giocare in serie A. Anni di sacrifici, il Sabato non esci perché la domenica si gioca, il giorno ti devi allenare e trovare la voglia di studiare dopo gli allenamenti. Nonostante questo, tutti sognano di dover fare sacrifici, perché in cambio ottengono continuitá e, se uno é bravo, la possibilità di giocare in serie maggiori. Come tutti noi, anche Felice Natalino aveva questo sogno. E l'ha esaudito. Il 28 novembre 2010 Rafa Benitez, allora allenatore dell'Inter, lo fa esordire in campionato; e non é tutto: il 7 dicembre dello stesso anno sostituisce il suo capitano, Javier Zanetti, in una partita di Champion's League. Direte voi: " che cosa può volere uno di più dalla vita?" Probabilmente la continuitá del sogno. Felice Natalino ha giocato a calcio per una vita,ma la sua carriera ufficiale è durata 3 anni. Annuncia il suo ritiro il 30 ottobre 2013, a 21 anni e tante speranze sulle spalle, per una grave aritmia cardiaca che gli pregiudica la possibilitá di giocare. Condivide su twitter una foto commovente: é lui che parla con Samuel Eto'o, in allenamento. La foto ha la disascalia, che recita: "purtroppo il destino ha voluto diversamente, ma rimane comunque un me l'onore di aver giocato con Dei come Lui".      
Un messaggio bellissimo, ma al contempo terribile. Un giocatore quando arriva in serie A pensa di poterci restare, ma il destino così non ha voluto. Il sogno di condividere lo spogliatoio con campioni come Eto'o, Milito, Snejider, Julio Cesar, Samuel e tanti altri però l'ha esaudito. Palmarès importante nonostante la carriera corta: vince il Mondiale per Club con l'Inter, nell'anno dei record in cui si aggiudicarono il Triplete. Il sogno di ogni calciatore, che può infrangersi in ogni momento per un problema di salute. La pagina facebook "Chiamarsi Bomber..." lo saluta dicendo: ciao bomber. Io lo saluto dicendo: ciao ragazzo, e grazie per il sogno di tutti noi che in te si é avverato.

ALVARO "EL CHINO" RECOBA

Uruguagio, sinistro fatato come pochi, interista... Ci sono tutti i presupposti per creare un giocatore incredibile, e così fu: nasce il 17/3/1976 Alvaro Recoba. Una figura un pò controversa, un trequartista di grandissima caratura che però stenta a raggiungere i suoi massimi, a causa di un calcio che spesso fa a meno di questo ruolo. El Chino cattura fin da subito le attenzioni di osservatori europei, ma il grande cuore di Massimo Moratti, presidente dell'Inter, viene subito rapito dall'estro e dal genio dell'Uruguagio dai tratti somatici orientali. Moratti lo porta in Italia, e lo manda in prestito al Venezia, dove comincia a far vedere i suoi colpi, tra cui un gol da centrocampo, il suo marchio di fabbrica. Torna all'Inter e in 167 presenze segna 50 gol. Non voglio stare ad elencare le squadre che ha girato, ma cercare di capire cosa ha indotto Moratti, che in squadra ha avuto giocatori come Ronaldo, Vieri, Mattheus, Eto'o, Milito, Snejider, Zanetti, Veron, Vieira ecc. a preferire el Chino, una talentuosa eterna promessa del calcio uruguagio; per farla breve, cercare di capire come mai Moratti si presentò allo stadio con la maglia di Recoba.  Un presidente con la maglia del suo pupillo non si è mai visto in Italia: abbiamo mai visto Cecchi Gori con la maglia di Batistuta? Berlusconi con la maglia di Kakà? Eppure Moratti appare affascinato da Recoba, e lo possiamo capire: personalità tutt'altro che tranquilla (El Chino le cose non le manda a dire), in campo si trasforma: dribbling, numeri, cross al contagiri, tiri dalla distanza e, infine, le punizioni. Come calciava le punizioni! Una delizia per gli occhi quando Recoba sistemava la palla sulla piazzola fuori area, non ce n'era per nessuno: lo stadio si fermava, tutti zitti ad aspettare il tiro. Decisamente uno dei migliori tiratori da lontano che abbiamo visto negli ultimi anni, ci ha deliziato con qualche gol da lunghissima distanza, come quello contro l'Empoli, alla sua prima stagione in nerazzurro: rimpallo a suo favore, Recoba si trova appena oltre la linea del centrocampo, vede il portiere decisamente fuori dalla porta, controlla la palla e colpisce il pallone con una leggiadria sconvolgente, mandando il pallone a infilarsi sotto la traversa alle spalle del portiere. Una bellezza per gli occhi

martedì 29 ottobre 2013

MANCHESTER UNITED STORY PART 7: ROY KEANE & THE WORST TACKLE EVER

“Aggredire è quello che faccio. Vado in guerra. Non riesci ad affrontare una partita di calcio se hai un atteggiamento razionale.” Roy Keane spiega il suo stile di gioco violento

Nel 1993 la squadra dei Red Devils, che già poteva vantarsi di pedine importanti come Schmeichel, Cantona e Giggs, impreziosì la propria rosa con un tassello che si sarebbe rivelato fondamentale. L’irlandese Roy Keane entrò a far parte dello United, da cui andò via “solo” 12 anni dopo, diventando il capitano più vincente della storia del club. Mediano caratterizzato da uno stile di gioco aggressivo e altamente competitivo, Roy viene ricordato più per il suo temperamento irascibile e impulsivo (anche grazie ad alcuni episodi che ne contrassegnarono la carriera) piuttosto per quello che fu effettivamente: un punto di riferimento per il centrocampo, un leader vero e proprio che impostava le azioni di gioco e dava fiducia a tutta la squadra con il suo carattere determinato e volitivo. L’irlandese non arretrava mai, raramente evitava un contrasto e tirava indietro la gamba. Per lui il terreno di gioco era un campo da battaglia e difatti Roy Keane si rivelò per quello che era: non un semplice calciatore, ma un guerriero. Sarebbe stato capace di morire durante la partita, combattendo per la propria squadra. Il suo fondamentale apporto al Manchester United si può riassumere nel discorso che Darren Fletcher fece quattro anni dopo l’addio di Roy all’Old Trafford: “Era il nostro capitano, il nostro leader, ed ha lasciato un segno: se adesso siamo dove siamo è grazie a lui, il nostro impegno viene dalle regole che ci ha imposto.” I suoi primi segni di indisciplina sul campo si manifestarono nel 1995, quando ricevette il suo primo cartellino rosso per aver colpito Southgate con un pestone. Sospeso per tre giornate, quella sarebbe stata la prima espulsione di una lunga serie: ne seguirono altre dieci nella sua carriera allo United. Carriera che oltre alle squalifiche, fu segnata da una serie notevole di infortuni che ne pregiudicarono la continuità e la presenza in campo. Ma l’infortunio che ebbe un risvolto importante nel futuro di Roy, fu quello subito durante la stagione 1997-98 dal norvegese Alf-Inge Håland. Il giocatore del Leeds causò all’irlandese la rottura del legamento crociato anteriore. Dopo lo scontro Håland andò a muso duro su Keane, mentre questi era dolorante a terra, urlandogli di non simulare. Questo portò al famigerato incidente che sarebbe avvenuto quattro anni dopo, nonché l’episodio fondamentale (e anche il più conosciuto) della sua carriera. Durante il derby di Manchester del 2001 infatti, Keane e Håland si incontrarono di nuovo su un campo da calcio e l’irlandese era intenzionato a non fargliela passare liscia. A cinque minuti dal termine della partita, con un intervento assolutamente gratuito Roy entrò volontariamente a gamba tesa sul ginocchio destro dell’avversario, causandone la fine della carriera. Keane fu sospeso per tre giorni e multato di 5000 sterline. Tuttavia nella sua autobiografia l’irlandese rilasciò la seguente dichiarazione: “Avevo aspettato abbastanza. L'ho colpito fottutamente forte. La palla era là (credo). Beccati questo stronzo. E non provare mai più a ghignarmi in faccia che sto simulando un infortunio.” Per tutta risposta la FA lo squalificò per altre cinque giornate e lo multò di altre 150.000 sterline. Roy continuò a dichiarare di non aver nessun rimpianto per ciò che era successo: “Anche dopo, negli spogliatoi, non avevo nessun rimorso. Il mio atteggiamento era: che si fotta. Chi la fa l’aspetti. Ha ricevuto la giusta ricompensa. Ha fatto lo stronzo con me e la mia regola è: occhio per occhio.” L’intervento di Roy Keane su Håland è da molti ritenuto il peggior contrasto della storia, considerandone anche la volontarietà ed i commenti post-partita. Ed è per questo intervento che Roy verrà ricordato per sempre, anche se ingiustamente, viste le sue immense qualità mentali e tattiche che oggi in molti rimpiangono a Manchester. Roy Keane è stata una pedina fondamentale per i successi dell’era di Sir Alex Ferguson e difficilmente potrà essere sostituito.
Continua…

domenica 27 ottobre 2013

MANCHESTER UNITED STORY PART 6: ERIC CANTONA – THE KING

“Il momento più bello? Ho tanti bei momenti, ma quello che preferisco più di tutti è quando ho tirato quel calcio all’hooligan.” Eric Cantona

Devono passare 18 anni perché Manchester possa veder giocare un campione paragonabile ai livelli raggiunti da George Best. Un altro talento nel 1992 approda nella sponda rossa della cittadina inglese. Nessuno lo sa ancora, ma diventerà il calciatore più amato dai tifosi dello United. L’unico che può battere Georgie e venire eletto dagli stessi fan come “Calciatore del
secolo” del club. Viene dalla Francia ed anche lui si differenzia da tutti gli altri calciatori per la sua originalità in campo (gioca sempre col colletto della maglia tirato su); anche lui è genio e sregolatezza: Eric Cantona, il Re. Ai tempi del suo acquisto da parte dei Red Devils è considerato una scommessa azzardata. La sua bravura è indiscutibile, ma la sua fama di ribelle ed indisciplinato lo precede. In Francia si rende protagonista di numerosi gesti di stizza nei confronti di allenatori, arbitri ed addirittura compagni di squadra. Insomma, all’inizio degli anni ’90 il Re è conosciuto più per le risse e le scorrettezze che per i numeri ed i gol sul campo. La scommessa dello United si rivela azzeccatissima e ancora una volta l’autore di uno degli acquisti più importanti della storia del club è Sir Alex Ferguson, che decide di puntare sull’incognita francese. Eric ripagherà con gli interessi la fiducia del manager, ma anche a Manchester la sua personalità complicata ed il suo continuo oscillare fra talento e follia contribuirà a regalare al team gioie e dispiaceri. Le gioie non tardano ad arrivare. Cantona si rivela decisivo fin dalla sua prima stagione in maglia rossa portando lo United alla conquista della Premier League dopo 26 anni di assenza. Nella stagione successiva Eric è uno dei protagonisti del Double, con Premier League e FA Cup che si aggiungeranno alla bacheca dei trofei. Ma cominciano anche i dispiaceri. La stagione 1994-95 verrà ricordata a lungo per una delle follie più famose del mondo del calcio e segnerà la carriera del Re per sempre.
Il 25 gennaio 1995 al Selhurst Park di Londra scendono in campo Crystal Palace e Manchester United. Al 60’ un difensore del Crystal Palace commette l’ennesimo fallo della partita su Cantona strattonandogli la maglietta, l’arbitro non lo ammonisce nemmeno. Il Re decide di farsi giustizia da solo e gli tira un calcio. Il guardalinee è vicino e ha visto tutto, Eric viene espulso. Mentre raggiunge il tunnel per dirigersi negli spogliatoi succede l’irreparabile. Il diciottenne Matthew Simmons scende di corsa gli undici gradini che lo separano dai cartelloni pubblicitari e avvicinatosi il più possibile al calciatore gli urla: “Fottiti e torna in Francia, brutto figlio di puttana di un francese!”. Il Re non ci pensa due volte e lo colpisce con un calcio volante, a cui fa seguire una serie di pugni. Finalmente gli steward riescono a fermarlo e a trascinarlo sotto la doccia, ma ormai il danno è fatto. Eric viene arrestato e condannato a 120 ore di servizi sociali.
La sua stagione finisce quel giorno: è sospeso per 8 mesi dal calcio giocato. Pochi giorni dopo l’incidente organizza una conferenza stampa per spiegare l’accaduto. Sarà la più breve della storia, durata appena 30 secondi. Il calciatore si limita a criticare i giornalisti con una sottile metafora: “Quando i gabbiani seguono il peschereccio è perché pensano che verranno gettate in mare delle sardine”, dopodichè ringrazia, si alza e se ne va, lasciando la stampa sbalordita. Ancora una volta il Re stupisce tutti con un suo colpo di genio/follia. L’opinione pubblica si accanirà contro di lui, in molti chiederanno che venga cacciato da Manchester, in molti vociferano di un suo ritiro dal calcio. Eric pensa sul serio di ritirarsi, ma Sir Alex lo convince a continuare e a rimanere con la maglia dei Red Devils. Ancora una volta il manager scozzese ha ragione. Il francese torna a giocare l’1 ottobre 1995 e, naturalmente, a vincere. La stagione si conclude con lo United che diventa la prima squadra inglese a conquistare per due volte il Double, trionfando in Premier League e FA Cup. Ma è nella stagione successiva che il Re scriverà una pagina del calcio degna di essere ricordata per sempre, mettendo a segno uno dei goal più belli mai realizzati nella Premier League (e non solo). È il 21 dicembre 1996 e il Manchester United ospita il Sunderland all’Old Trafford. La partita finirà 5-0, ma è il 40’ e i Red Devils sono avanti soltanto di un gol. Cantona riceve palla a metà campo. È di spalle ed è pressato da due uomini. Con una finta ne ubriaca uno, salta il secondo e si gira. Continuano a marcarlo, Eric con una magia si libera definitivamente del primo uomo, che cerca di falciarlo con un calcione. Il secondo uomo prova a compiere un fallo tattico, ma Cantona si allunga la palla e punta verso la porta. Passa la palla a McClair che gliela restituisce al limite dell’area. Il francese vede il portiere fuori dai pali ed istintivamente prova un pallonetto: tocco sotto e palla indirizzata dritta dritta all’incrocio, sbatte sul palo ed entra in rete. Segue un’esultanza memorabile. Eric si gira a guardare tutto lo stadio con il classico colletto tirato su e alza le braccia come a dire: “Sono io il Re, fate di meglio se vi riesce!”.
Al termine della stagione i Red Devils vincono un'altra volta il campionato, per Cantona è la quarta Premier vinta in cinque stagioni.
Si ritira a soli 30 anni, suscitando scalpore in tutto il mondo. Non è un mistero che un personaggio simile sia rimasto nei cuori dei tifosi dello United che ancora oggi lo inneggiano con cori e birre bevute in suo onore. In onore del Re, l’unico che Manchester abbia mai avuto.

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RORY DELAP, LA FIONDA UMANA


Nel calcio, sono tante le situazioni di calcio da fermo con cui far male: chi dispone di ottimi saltatori può risultare pericoloso su calci d'angolo e punizioni (chi ha Roberto Baggio anche direttamente dal calcio d'angolo), chi ha tiratori eccezionali fa delle punizioni dal limite una delle sue armi migliori, mentre chi ha Rory Delap in squadra utilizza la rimessa laterale come strategia d'attacco. Si, avete capito bene, la rimessa laterale. Il centrocampista irlandese, riesce a lanciare una palla con le mani a 50 yarde, ovvero 46 Metri. Una distanza allucinante, che in un campo da calcio può risultare decisiva. Delap é un centrocampista destro, con un passato da lanciatore di giavellotto, il che giustifica la sua grande potenza nei lanci. Arriva tardi in Premier League, e sempre in squadre di medio-bassa classifica: a dir la veritá, non é un giocatore di grande livello, anzi, non è niente di che. Con lo Stoke City, il cui stadio è stato giudicato "il più rumoroso" d'Inghilterra per la potenza dei cori effettuati dai tifosi, Delap mette in atto la sua qualitá migliore a grandi livelli. In una gara contro l'Arsenal, lo Stoke City realizza i suoi due gol sfruttando due rimesse laterali, grazie alla bravura in gioco aereo di Peter Crouch e Ryan Shawcross, difensore centrale che sistematicamente va in area di rigore quando c'è una rimessa laterale.
Un'abilitá come quella di Delap permette alla squadra di creare occasioni da gol quando altre squadre semplicemente appoggerebbero la palla dietro al centrocampista, ovvero da un'innocua rimessa laterale sulla trequarticampo degli avversari.
É stato detto di lui: "l'unico calciatore che verrá ricordato non per come giocava con i piedi, ma per come usava le mani giocando a calcio"

MANCHESTER UNITED STORY PART 5: PETER SCHMEICHEL – THE GREAT DANE

“Non ricordo come mai cominciai a giocare in porta. Forse perché ero troppo violento per giocare fuori dai pali.” Peter Schmeichel

Molto probabilmente la fortuna e i successi dell’era di Sir Alex Ferguson cominciarono dall’estate 1991, quando fu acquistato il Grande Danese a difendere la porta. Alto 1 metro e 91 per 105 chilogrammi, Peter Schmeichel può essere considerato tranquillamente uno dei portieri più forti che abbiano mai calcato un campo da calcio. Il Manchester United lo comprò dal Brøndby per l’irrisoria cifra di 505 mila sterline, tanto che Ferguson lo definì “l’affare del secolo”. Nel 1992 il suo nome si diffuse a livello internazionale a seguito dell’incredibile conquista dell’Europeo con la Danimarca. Peter parò un rigore a Marco Van Basten in semifinale e fu nominato “Portiere del torneo”. Fino a quel momento era sconosciuto al di fuori della sua nazione d’origine, ma con la maglia dei Red Devils dette il meglio di sé portando lo United alla conquista di 5 Premier League, 3 FA Cup, una Coppa di Lega e una Champions League. Grazie a 22 partite a reti inviolate riuscì a consegnare alla sua squadra nella stagione 1992-93 la prima Premier League dopo 26 anni. Portiere dell’anno nel 1992 e nel 1993, raggiunse però il culmine nella stagione 1998-99.
Fu lui infatti a capitanare il Manchester alla conquista del Treble nel 1999 e a sollevare la coppa dalle grandi orecchie in quella incredibile serata di Barcellona con la fascia al braccio. Oltre alle sue indubbie qualità tra i pali, Schmeichel è rimasto nella storia anche per un’altra sua caratteristica: era solito salire all’attacco nei calci d’angolo quando la sua squadra stava perdendo. Dimostrò la sua bravura anche in questo, terminando la sua carriera con 11 gol all’attivo. Detentore del record per la percentuale di partite in Premier League terminate con le reti inviolate (ben 42%) la sua grandezza è testimoniata anche dalla vittoria di un sondaggio pubblico nel 2001, in cui oltre 200 mila persone lo votarono come miglior portiere di sempre, superando leggende come Lev Yashin e Gordon Banks. Infine fu l’autore di quella che è considerata una delle parate più belle della storia, contro il Rapid Vienna. Cross in mezzo, l’avversario svetta effettuando un colpo di testa ravvicinato. La palla rimbalza ad un metro dalla linea di porta. Da bambino ti insegnano sempre a schiacciare la palla di testa in situazioni offensive, perché in quel modo è quasi impossibile che il portiere la raggiunga. QUASI impossibile. Perché Peter Schmeichel, tra l’incredulità degli avversari e dei suoi stessi compagni di squadra la raggiunge, dimostrando una reattività fuori dal comune. Una parata che è la fotocopia della “parata del secolo”, quella di Gordon Banks su colpo di testa di Pelè. Solo un campione come il Grande Danese poteva riuscire ad emularla.

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ITALIA 2006

Era il Maggio del 2006; il calcio italiano era stato appena scosso dal più grande scandalo degli ultimi 30 anni: CALCIOPOLI. Alcuni dirigenti di svariate società, soprattutto di Serie A, risultano complici di un sistema di pilotaggio di partite attraverso designazioni arbitrali truccate, il tutto capeggiato dallo Juventino Luciano Moggi. In questo clima di devastazione per il calcio italiano, si è materializzato l'avvenimento più emozionante per la mia generazione, la vittoria del Mondiale di Calcio di Germania 2006, da parte della Nazionale Azzurra. Sotto l'egida del POPOPOPOPOOO, o meglio, Seven Nation Army degli White Stripes, lanciata dai tifosi della Roma nel 2005 e ripresa dai tifosi italiani durante il mondiale, gli azzurri conquistarono Berlino contro i galletti francesi. Sulla carta, la Nazionale italiana non era la favorita: l'Argentina aveva campioni come Crespo, Tevez, Cambiasso, Messi; il Brasile aveva in attacco il poker d'assi Kakà-Ronaldo-Adriano-Ronaldinho; la artita. Francia il talento cristallino di Zinedine Zidane, la leggiadria di Henry, Vieira, Makelele; la Germania aveva Ballack, Schweinsteiger, Klose, Kahn, Lahm... Insomma, l'Italia partiva non tra le favorite. Alla prima partita gli azzurri surclassano il Ghana, mentre nella seconda trovano un'ostacolo duro come gli USA e la partita finisce in pareggio. La partita decisiva è quella contro la Repubblica Ceca, e l'Italia trova un protagonista improvviso, Marco Materazzi, che segna il gol del vantaggio, poi consolidato dalla rete di pura grinta di Super Pippo Inzaghi, che segna dopo una discesa solitaria da metà campo, dopo aver superato Cech. L'Italia ipoteca il passaggio del turno e trova agli ottavi l'Australia di Guus Hiddink, l'ex allenatore della Corea del Sud che aveva eliminato l'Italia nel 2002. La partita sembra facile, ma si rivela un calvario, anche per l'espulsione di Materazzi che costringe l'Italia in 10. Quando sembra tutto finito, comincia il Mondiale splendido di Fabio Grosso, un giocatore che ha fatto la sua fortuna con questo mondiale. A partita ormai finita trova l'energia per effettuare una perentoria discesa sulla fascia sinistra, subendo fallo in area. L'arbitro fischia fallo, e Francesco Totti si reca sul dischetto. Quanti di noi hanno sperato che non facesse il cucchiaio? Invece no, Totti spara un missile che si infila alle spalle di Schwarzer, qualificando l'Italia ai quarti di finale, dove gli azzurri trovano e battono l'Ucraina, con doppietta di Toni e gol di Zambrotta. In semi-finale la Germania, i padroni di casa, gli eterni rivali. Non è una partita come le altre, e lo sanno anche i tedeschi: per giorni, prima della partita, i giornali tedeschi prendono in giro gli italiani, dandogli di pizzaioli, mafiosi ecc ecc, tutte le solite offese da crucchi idioti. La partita si gioca al Westfalen Stadion di Dortmund, dove i tedeschi non hanno mai perso. I crucchi sono carichi e fanno loro la partita. Gli azzurri soffrono, ma resistono, anche grazie a Cannavaro e Buffon, protagonisti di un Mondiale incredibile. La partita rimane sullo 0-0 per moltissimi minuti, si va ai supplementari. Entra Del Piero, Lippi lo butta dentro per cercare di dare imprevedibilità agli attacchi italiani: e ha ragione. Il capitano della Juve batte un angolo, Pirlo raccoglie la ribattuta corta della difesa, serve Grosso e...GOOOLL non ci crede nemmeno lui, un'esultanza incredibile. La Germania accusa il colpo e si riversa in attacco. L'Italia è stanca, ma Del Piero è appena entrato: torna in difesa, Cannavaro recupera palla e serve Totti che lancia Gilardino in profondità; Del Piero coglie l'occasione e corre veloce come non mai. Gilardino lo sente e gli serve una palla al vertice dell'area di rigore che lo Juventino non sbaglia, anche perchè aveva da farsi perdonare un errore madornale contro la Francia nella finale degli europei 2000. E' un tripudio di bandiere azzurre, Del Piero continua a correre per esultare, sembra instancabile. Un sogno. La finale dei Mondiali.
Tra noi e la coppa c'è la Francia: una squadra fantastica, con un giocatore superiore a tutti: Zinedine Zidane, che si ritirerà a fine Mondiale. Ma non c'è storia, la nazionale italiana è troppo affiatata, il sogno è stato troppo bello fin'ora e non può finire così. Sembra tutto vano quando Zidane segna il rigore assegnato alla Francia, ma pochi minuti dopo Materazzi svetta in aria e segna un colpo di testa sovrastando Patrick Vieira. Si va ai rigori. Italiani perfetti, Trezeguet sbaglia per la Francia. E' il turno di Grosso. Se segna vinciamo. L'arbitro fischia. Grosso parte, spiazza il portiere e segna. Non ci crede nemmeno lui. Non ci credevamo nemmeno noi. Un sogno che si avvera.


MANCHESTER UNITED STORY PART 4: SIR ALEX FERGUSON'S ERA

“Allenare questo club può diventare un’ossessione.” Sir Alex Ferguson

26 anni e mezzo consecutivi in panchina; 38 trofei tra cui 13 Premier League e 2 Champions League, battendo qualsiasi record immaginabile e diventando l’allenatore più vincente della storia del calcio. Per Sir Alex Ferguson allenare il Manchester United era diventata una vera e propria ossessione. In realtà il calcio stesso era stata per lo scozzese un'ossessione fin da quando era un bambino, come dimostra una sua frase: “La gente dice che la mia è stata un’infanzia povera. Non so cosa intendano dire. Certo, è stata dura, ma non era così male. Forse non avevamo una TV. Non avevamo una macchina. Non avevamo nemmeno un telefono. Ma io pensavo di avere tutto quello che mi serviva: avevo un pallone da calcio.” I tifosi dei Red Devils dovranno aspettare quasi 30 anni per tornare a vincere un trofeo importante. L’ultimo Campionato e l’ultima Coppa dei Campioni erano stati vinti negli anni 60, quando c’erano un baronetto scozzese ad allenare e un fenomeno nordirlandese in squadra. Poi il vuoto, a parte qualche FA Cup e qualche Charity Shield. Finchè in panchina non arriva un altro scozzese, anche lui baronetto, a cambiare totalmente la concezione di manager, a rivoluzionare il Manchester United e a segnare un’impronta fondamentale per tutto il calcio che verrà. Burbero, paonazzo in volto, sempre a masticare freneticamente la sua chewing-gum, Sir Alex Ferguson non utilizzava mezzi termini: le cose le diceva chiaramente, e in faccia ai suoi giocatori. Per questo, molte volte ci sono stati dei litigi all’interno dello spogliatoio, e probabilmente è stato anche questo il segreto del suo successo.
Perché non era un semplice allenatore, uno che ti impartiva ordini agli allenamenti o in partita e finita lì. Fergie era diventato una sorta di figura paterna per tutti i giocatori che ha allenato, per tutti i campioni che sono passati sotto la sua ala e sono cresciuti con lui. Dai più turbolenti come Cantona e Roy Keane, ai più talentuosi come Beckham e Cristiano Ronaldo. Nessuno ha mai visto crescere tanti campioni come il burbero scozzese. Il 6 novembre 1986 diventa manager del Manchester United e porta subito disciplina nello spogliatoio dei Red Devils. I risultati si vedono: dal ventunesimo posto in cui la squadra era relegata, con Fergie lo United finisce la stagione all’undicesimo posto. Per il primo trofeo bisognerà aspettare il 1990 con la vittoria della FA Cup ai danni del Crystal Palace. Intanto la squadra comincia a rinforzarsi e fanno la loro apparizione i primi campioni. Ryan Giggs, Peter Schmeichel e soprattutto Eric Cantona porteranno lo United alla conquista della Premier League nel 1992-93. Da quel momento comincerà una striscia di successi che non hanno eguali nella storia del calcio. Il vertice sarà raggiunto nel 1998-99, la stagione del Treble, con la conquista di Premier League, FA Cup e Champions League. In particolare la Champions, vinta a Barcellona contro il Bayern Monaco grazie ad una incredibile rimonta nei minuti di recupero, è sicuramente la vittoria più bella mai conquistata dallo scozzese. L'incaricato dalla FIFA per la premiazione racconta di quella sera:"Scesi dalla tribuna circa 3 minuti prima della fine della partita, per avvantaggiarmi. Arrivato sul campo, non capivo: i giocatori che avevano vinto, piangevano, mentre quelli che avevano perso, festeggiavano".
Sir Alex Ferguson si ritira nel 2013. Il momento più emozionante è la sua ultima partita all’Old Trafford quando dopo la vittoria per 2-1 contro lo Swansea, pronuncia un toccante discorso d’addio: “Prima di tutto, voglio dire grazie al Manchester United. Non solo ai dirigenti, non solo allo staff medico, non solo allo staff tecnico, ai giocatori o ai tifosi, ma a tutti voi. È stata l'esperienza più fantastica della mia vita. Grazie. Siete stati di fondamentale importanza. Il mio ritiro non significa la fine di questa squadra. Se ci pensate, i goal all'ultimo minuto, le rimonte e anche le sconfitte, fanno parte della storia di questo club. È stata un'esperienza incredibile gestirlo e voglio ringraziare tutti per questo.”
Finisce così un’era, una delle più belle. Ma sicuramente non verrà mai dimenticata. L’alone di grandezza che ha sempre contraddistinto Sir Alex Fergusone avvolge ancora la parte rossa di Manchester: proprio ieri, il 14 ottobre, gli è stata intitolata una via nei pressi delo stadio. La sua leggenda non morirà mai.
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GABRIEL OMAR BATISTUTA

Il 1 Febbraio 1969 nasce il più forte centravanti che l'Argentina abbia mai avuto, e forse il più forte centravanti degli ultimi 40 anni in generale. Il suo nome? Lo conoscerete tutti, Gabriel Omar Batistuta. Una storia particolare quella del RE LEONE, che comincia in Italia prima di arrivare alla Fiorentina, quando, con il Deportivo Italiano, gioca il Torneo di Viareggio; due anni dopo viene acquistato da Cecchi Gori alla Fiorentina. Cosa si può dire di Batigol? Beh, prima di tutto è il capocannoniere assoluto della Fiorentina con oltre 200 gol e anche in serie A, avendo superato Hamrin all'ultima giornata del campionato 1999-2000; si può anche dire che la vera cosa che gli è mancata a Firenze, è lo scudetto, quel maledetto scudetto che sembrava potesse arrivare nel 1998-1999, quando la squadra fiorentina si laureò Campione d'Inverno, per poi terminare il campionato in terza posizione, complice anche l'infortunio del Bomber: probabilmente, se non si fosse infortunato, saremmo a raccontare un'altra storia. Però, non è sempre stato tutto rose e fiori a Firenze: l'ambientamento infatti risulta difficoltoso al 21enne argentino, che stenta a trovare la via del gol nel primo periodo, facendo pensare a tutti che fosse un fallimento. All'improvviso, anche grazie alla nascita del primo figlio, Thiago, Batigol cominciò a segnare e non smise più fino al 14 Maggio 2000, ultima partita in viola, durante la quale supera il record di gol in serie A per un calciatore con la maglia della Fiorentina, detenuto fino a quel momento da Kurt Hamrin. Il passaggio alla Roma gli da lo scudetto, ma sono sicuro che Batigol lo scudetto lo voleva a Firenze, nella città che lo ha reso grande. La carriera in nazionale è fantastica; Maradona di lui disse: "Batistuta è fortissimo, per fortuna è argentino". Vince la Copa America nel 1991 e nel 1993 (nella prima è il Capocannoniere della competizione). Nell'edizione del 1995 è ancora Capocannoniere ma l'Albiceleste viene eliminata ai Quarti. Rimane anche qui il recordman, tutt'ora imbattuto, di gol segnati con la Nazionale. Dopo questa sviolinata sulle caratteristiche del giocatore, mi piacerebbe concentrare il mio articolo su due episodi. Per quanto riguarda il primo, esso si tenne nell'andata della Semifinale di Coppa delle Coppe 1996-1997. Il palcoscenico è di lusso: Camp Nou. La partita è Barcellona-Fiorentina. Il Camp Nou viene gelato da un gol allucinante di Batistuta, che esultando zittisce il pubblico catalano già calato nel silenzio tombale dopo il gol dell'argentino. Un'esultanza incredibile che rimane nei cuori dei tifosi della Fiorentina. L'altro episodio, purtroppo, il cuore dei tifosi della Fiorentina lo ha spezzato, e forse ancora oggi provano dolore a ripensarci: il 26 Novembre 2000 si gioca Roma-Fiorentina. Per i Fiorentini non è mai una partita qualunque, ma quella era ancora più speciale del solito: Batistuta era stato appena ceduto alla Roma di Sensi per 70 miliardi di lire. La partita finì 1-0 per i padroni di casa, ma passò alla storia perchè il Bomber Argentino segnò un gol dei suoi, ma non esultò come al solito, con la mitraglietta, andando alla bandierina o zittendo tutti; semplicemente, si mise a piangere, perchè in quel momento aveva segnato alla sua squadra, ai suoi tifosi. E non lo dimenticherà mai.

MANCHESTER UNITED STORY PART 3: GEORGE BEST – THE FIFTH BEATLE

“Appena è possibile, date palla a George Best", tipico discorso alla squadra di Sir Matt Busby.

Il disastro del 1958 fu un durissimo colpo per il Manchester. Eppure proprio dalle ceneri di Monaco i Red Devils risorsero come una fenice e arrivarono a toccare uno dei livelli più alti di sempre. Tutto merito della “United Trinity”: George Best, Bobby Charlton e Denis Law, uno dei tridenti più fenomenali che il calcio abbia mai visto. In particolare proprio grazie a quel nordirlandese, scovato a Belfast dagli osservatori del Manchester United all’età di 15 anni. Il tesseramento fu immediato e il telegramma che uno degli osservatori inviò a Sir Matt Busby la dice lunga sulle qualità che il giovane George Best dimostrava già all’epoca. Il telegramma inviato da Bob Bishop era il seguente: “Credo di averti trovato un genio”. L’avventura di Best allo United cominciò il 14 settembre 1963, quando a sorpresa venne schierato titolare contro il West Bromwich. Da quel giorno iniziò la carriera di un fenomeno, uno dei giocatori più talentuosi ad aver mai calcato un campo da calcio e anche una delle icone più influenti e amate ancora oggi di questo sport. George era genio e sregolatezza. Fu notato fin da subito non solo per le sue doti con i piedi, ma anche per la sua esuberanza e originalità. Nessuno prima di allora portava i capelli lunghi, nessuno giocava con la maglia fuori dai calzoncini e nessuno osava non mettersi i parastinchi: tutte cose che lui faceva. Concluse la stagione 1963-64, la sua prima con la maglia rossa, con 26 presenze e 6 gol. La successiva stagione fu la prima da titolare per Best e il suo apporto fu fondamentale, tanto da portare i Red Devils alla conquista del campionato, che mancava da 8 anni. Brillò in particolar modo nella vittoria per 2-0 sul Chelsea allo Stamford Bridge, meritandosi gli applausi anche da parte della tifoseria avversaria. Ma la vera svolta per la sua carriera si ebbe nella stagione 1965-66, all’età di 19 anni. La sua leggenda cominciò in un quarto di finale di Coppa dei Campioni il 9 marzo 1966 a Lisbona, contro il Benfica. Georgie mise a segno una doppietta nei primi quindici minuti e procurò un assist contribuendo alla vittoria schiacciante dello United per 1-5.

 Fu proprio dopo quella partita che nacque il suo soprannome: “il quinto Beatle”, così chiamato da un giornale portoghese a causa dei suoi capelli lunghi e della sua somiglianza con un gruppo che in quel momento, proprio in Inghilterra, stava scrivendo la storia della musica. Così come la beatle-mania era partita nel 1963, la georgebest-mania iniziò da quel giorno. Oltre alle gioie per la squadra, che conquistò anche il campionato 1966-67, e per lo stesso Best, che diventò famoso in tutto il mondo, cominciarono anche i primi problemi e grattacapi. George scoprì il divertimento (ed in particolare le ragazze e l’alcol), passando più tempo a Maiorca a divertirsi che a Manchester ad allenarsi o a Belfast dalla famiglia. Iniziarono le prime sbronze, i primi guai con la legge e i primi contrasti con l’allenatore. Nonostante tutto il Quinto Beatle era in formissima, tanto che gli bastava un solo allenamento per smaltire gli effetti delle sbronze, e lo dimostrò anche nella stagione successiva diventando il capocannoniere della squadra. Questa stagione verrà ricordata per sempre dai tifosi dello United perché vide i Red Devils sollevare per la prima volta la Coppa dei Campioni. Battuto il Real Madrid in semifinale con una incredibile rimonta da 3-1 a 3-3 (dopo aver vinto all’Old Trafford per 1-0), il Manchester trionfò sul Benfica per 4-1 con 3 gol nel primo tempo supplementare, di cui uno del Belfast Boy. Georgie aveva appena 22 anni quando vinse la Coppa dei Campioni e il Pallone d’Oro. Doveva essere l’inizio di una gloriosa carriera, invece fu soltanto l’inizio della fine.
Il declino del campione fu inesorabile, soprattutto a causa dell’ alcol e della fama raggiunta. I sei anni seguenti allo United furono abbastanza anonimi se si considera il suo potenziale, contrassegnati da una sempre maggiore dipendenza dai superalcolici e da una crescente abitudine a saltare gli allenamenti e addirittura le partite. George era diventato oramai un calciatore part-time e la stagione 1973-74 fu l’ultima con la maglia dei Red Devils. Inizialmente fu mandato in prestito in Sudafrica, poi il trasferimento in Inghilterra allo Stockport County, che militava in quarta divisione, ufficializzò la fine dell’esperienza con lo United per Georgie. In seguito si trasferì negli USA e girò numerose squadre, senza però mai tornare agli altissimi livelli che l’avevano contraddistinto. Nel frattempo i guai con la legge si fecero sempre più seri. Una notte si schiantò in macchina contro un palo della luce, ricevendo 54 punti intorno agli occhi e salvandosi per miracolo. Fermato dalla polizia l’ennesima sera che guidava ubriaco, dopo non essersi presentato all’udienza in tribunale e dopo una rocambolesca fuga dai poliziotti, Best venne arrestato nel 1984 e restò dietro le sbarre per 3 mesi. Era la fine del mito.
L’alcol fu l’unico avversario che il Quinto Beatle non riuscì a battere. Avversario che ne causerà anche la morte, il 25 novembre 2005 a 59 anni, per problemi al fegato. Una sera ad un tizio deluso che a cena gli fece notare quanto poco bevesse rispose: “Senta, se dovessimo fare una gara, lei arriverebbe secondo. Ho soltanto deciso di non bere troppo stasera.” George Best era così, se decideva una cosa la metteva in atto e sul campo da calcio non aveva rivali. Chissà, se avesse deciso di impegnarsi più seriamente come calciatore e se avesse deciso seriamente di sconfiggere l’alcol. Forse oggi questo slogan sarebbe più vero che mai:

MARADONA, GOOD; PELÉ, BETTER; GEORGE, BEST.

Continua…

IL DERBY DI FIRENZE

Nel quartiere di Campo di Marte a Firenze, adiacenti allo Stadio Artemio Franchi, ci sono due campi di calcio, separati da una siepe ed una strada. Segnate da una storia diversa, Olimpia Firenze e Affrico si contendono il derby di Campo di Marte. L'US Affrico è una polisportiva che ha una storia molto lunga e radicata a Campo di Marte, mentre l'Olimpia Firenze nasce nel 1993 dalla fusione di due squadre del quartiere, e subito comincia a scalare i vari campionati giovanili, fino a dimostrare di essere una splendida realtà a livello giovanile nel panorama calcistico Fiorentino. 
A livello giovanile le due squadre spesso si trovano a confrontarsi, e ovviamente le due partite di andata e ritorno sono le più sentite del campionato. Soprattutto a livello Juniores la partita è maggiormente sentita. Ma la cosa speciale di questo derby è la vicinanza tra i due campi da gioco, che rende inevitabile la vicinanza anche tra i giocatori, tutti amici o al massimo conoscenti, che per quell'ora e mezzo diventano acerrimi nemici, e magari la sera sono tutti insieme a bere una birra in qualche locale. La settimana che precede il derby è ricca di tensione: il martedì si corre, e tutti i pelandroni che in genere sono in fondo al gruppo, questa volta sono i primi, a tirare il gruppo insieme al capitano, il giocatore che la sente di più. Il Giovedì la partitella è giocata alla morte: nessuno tira indietro la gamba, pur mantenendo il rispetto per i compagni, senza provare a far loro del male per tagliarli fuori dalla convocazione. Il giorno prima della partita è tensione pura: c'è chi non esce, chi mangia solo proteine, chi fa serata per sfogare la tensione. E poi arriva finalmente il giorno della partita, il Sabato, il santo Sabato che tutti aspettano dall'inizio del campionato. Fai la borsa la mattina appena sveglio, ben consapevole che giocherai solo 8 ore dopo. Guardi video su youtube, ascolti musica fogante (Europe, colonne sonore di Rocky, Rock&Roll, Green Day le più gettonate). Ti senti con i tuoi compagni, cerchi di creare il clima giusto nello spogliatoio. A pranzo mangi veloce e poco, ma giusto, la pasta al pomodoro e parmigiano del sabato oramai è una costante. Arrivi alla convocazione mezz'ora prima, a casa non ce la facevi più. Il campo è chiuso, deve ancora arrivare il custode, ma i giocatori sono tutti lì: in quel momento capisci che la partita la sentono tutti come la Finale di Champion's League. Primi sfottò tra amici. Il mister vi chiama nello spogliatoio, e comincia a caricare l'ambiente. Dice che la partita è come le altre, ma non ci crede nemmeno lui: lo sa quanto è importante la partita. Da la formazione: sei fuori, in panchina, nella partita più importante. La cosa non ti va giù, lo guardi male, ma inciti comunque i tuoi compagni: sono loro che vanno in campo, te entri dopo. La partita comincia: sugli spalti gremiti, centinaia di ragazzi di Campo di Marte incoraggiano i giocatori, vogliono vedere il sangue. La partita è fallosissima, le due squadre si equivalgono. Finisce il primo tempo in parità: 0-0. Il secondo stessa solfa, partita entusiasmante, ma nessuno prevale. Il mister si gira nervosamente verso la panchina: ti chiama, vatti a scaldare.
Ti metti a bordo campo, due discese, due esercizi. Sei caldo dopo un minuto, anzi eri caldo già da una settimana. Devi dimostrargli che ha sbagliato. Ti butta nella mischia. Entrando incoraggi la squadra. Prima palla toccata sbagli un passaggio; imprechi e fai fallo da dietro per recuperare. Ammonizione. Infamate dal mister. Non vedi palla per 20 minuti, giocano solo loro lì davanti, i tuoi compagni ti lasciano da solo lì davanti, sperando che qualche lancio lungo tu lo riesca a prendere. Ultimi 10 minuti, siamo in difficoltà. Ultimo minuto, la partita è per noi ormai finita, siamo morti, gli avversari continuano a spingerci nella nostra metà campo. Ma è venuto il momento di cambiare la partita. Calcio d'angolo per loro corto sul primo palo, ci sei te rilanci lungo sull'ala che parte. Continui la corsa, lui è da solo contro 3. Si gira indietro ignorando il tuo movimento in profondità dove saresti andato in porta. Salgono tutti. Lancio per la seconda punta che anticipa il suo marcatore e spizza di testa nel vuoto; ci sei te, solo davanti al portiere, un tuo amico. Ma all'amicizia ci pensi la sera, ora c'è da pensare solo al gol. Due passi, rallenti, una finta, lo salti...tiri...caschi per terra. Pur di spaccarti tutto rimani con lo sguardo incollato sulla palla che sembra metterci un'eternità, ma alla fine entra. Non fai in tempo ad alzarti che hai tutti addosso, ma li levi di torno, devi andare verso la panchina, ad abbracciare quel pezzo di merda che non ti ha messo in campo dall'inizio. Lo abbracci come un fratello, uno dei tuoi fratelli in campo. Sei felice. La sera bevi con gli avversari, come se non fosse successo niente.

IL BELGIO

La birra...il parlamento europeo...il Tomorrowland...la cioccolata...il formaggio. Di certo, a pensare al Belgio, non è il calcio la prima cosa che viene in mente. I fiamminghi non hanno infatti una grande tradizione calcistica, esclusa se vogliamo un'oro olimpico ad Anversa nel 1920 ed una parentesi a cavallo tra gli anni '80 e '90 (4 posto a Messico 1986), con Jean Marie Pfaff eletto miglior portiere del mondo nell'anno 1987. Ma qualcosa cambia con l'avvento del nuovo millennio: nel 2000, il Belgio ospita insieme all'Olanda, l'Europeo di calcio, poi vinto dalla Francia in quella finale maledetta che lancina ancora oggi i cuori di noi italiani (tanto la 4 stella del Mondiale ce l'abbiamo noi, galletti di merda). Il calcio in Belgio rinasce: si riattiva il movimento e le scuole calcio si infittiscono di giocatori. Ma è ovviamente dopo almeno 10 anni che se ne vedono i frutti. Potremmo per esempio stilare una lista di giocatori convocabili per i Diavoli Rossi: in porta abbiamo Mignolet e Cortuois, rispettivamente di proprietà di Liverpool e Chelsea; in difesa Boyata, Cavanda, Alderweild, Vermaelen, Kompany, Vertonghen, Van Buyten, Lombaerts. A centrocampo Witsel, Fellaini, Hazard (la ciliegina sulla torta), De Bruyne, Moussa Dembele, Nainggolan, Chadli; in attacco Benteke, Lukaku, Mirallas, Mertens, e Bakkali, il nuovo fenomeno del calcio Belga. Molti di voi non ne conosceranno mezzi, ma questi giocatori militano in squadre di alto livello, come Chelsea, Manchester United, Manchester City, Liverpool, Tottenham, Bayern Monaco, Napoli, Arsenal, e via dicendo. Magari sono solo nomi, ma il fatto che il Belgio sia primo nel girone di qualificazione al mondiale brasiliano del 2014 davanti a Croazia e Serbia, è un dato che fa pensare. Alcuni sono già campioni affermati, altri di questi devono ancora dimostrare il proprio potenziale, ma sono sicuro che ne vedremo delle belle. Ci vediamo a Brasile 2014

MANCHESTER UNITED STORY PART 2: THE MUNICH AIR DISASTER & THE FLOWERS OF MANCHESTER

“Chiesi dove erano gli altri sopravvissuti e mi dissero che non ce ne erano altri. Solo allora compresi l’orrore di Monaco. I Busby Babes non esistevano più.” Bill Foulkes, sopravvissuto al disastro di Monaco

6 febbraio 1958. Questa data è scolpita nella mente dei tifosi del Manchester United, una data che non scorderanno mai. Quel giorno si è scritta la pagina più buia della storia dei Red Devils. Nove anni dopo la tragedia di Superga, che scosse il calcio italiano e pose fine al Grande Torino, un altro disastro aereo segnò l’epilogo di una squadra di campioni. Da allora i Busby Babes, che tanto avevano vinto e tanto avrebbero vinto ancora, non esistono più. Molti di loro non tornarono mai a casa, ma morirono tra la neve di Monaco. L’aereo della British Airways di ritorno da Belgrado, dove il Manchester pareggiò con la Stella Rossa qualificandosi per la semifinale di Coppa dei Campioni, e fermatosi a Monaco per fare rifornimento, si schiantò con a bordo calciatori dello United, tifosi e giornalisti. Venti dei quarantaquattro passeggeri morirono sul colpo e altri tre morirono pochi giorni dopo. Ben otto erano giocatori dei Red Devils, oggi ricordati come “i fiori di Manchester”. Tra di loro anche Duncan Edwards, deceduto due settimane dopo il disastro a soli 21 anni. Rimasto fino al 1998, quando fu spodestato da Michael Owen, il più giovane a giocare in nazionale per l’Inghilterra (debuttò a 18 anni), a detta di George Best, Duncan sarebbe dovuto diventare il giocatore inglese più forte di tutti i tempi e per Bobby Charlton è stato l’unico calciatore che lo ha fatto sentire inferiore. Anche oggi viene considerato uno dei più grandi della storia del calcio. Tra i sopravvissuti Bobby Charlton e Sir Matt Busby. Busby si ruppe il torace restando in condizioni critiche per giorni e non si pensava che potesse sopravvivere tanto che gli fu data l’estrema unzione per ben due volte. Si riprese solo due mesi dopo. A testimonianza della tragedia è stato posto un orologio con la scritta “Feb 6th 1958” in alto e “Munich” in basso, nell’ala sud-est dell’Old Trafford. Ecco i nomi dei fiori del calcio inglese, i fiori di Manchester: Geoff Bent, Roger Byrne, Eddie Colman, Duncan Edwards, Mark Jones, David Pegg, Tommy Taylor, Liam Whelan.
Per non dimenticare.

IL LIVERPOOL DI RAFA BENITEZ

Probabilmente per decidere quale stagione sia la più memorabile degli ultimi dieci anni per i tifosi del Liverpool, c'é da scegliere tra la "5 trophies season", ovvero la stagione 2000-2001, oppure la stagione del ritorno alla vittoria della Champion's League. La finale di Champion's League più stramba e rocambolesca della storia, la notte che ha fatto bestemmiare intere generazioni di milanisti, la Notte di Istambul. Il 25 Maggio 2005 si gioca ad Istambul la finale di Champion's League tra Milan e Liverpool, due gloriose squadre del panorama calcistico europeo. Sulla carta, la superioritá del Milan è evidente: una squadra zeppa di campioni, Maldini, Nesta, Cafu, Pirlo, Seedorf, Kaka, Crespo e Shevchenko, solo per citarne alcuni. Dall'altra parte, il Liverpool FC, con tanti giovani emergenti guidati dalla vecchia guardia di stampo Reds, ovvero Jamie Carragher e Steven Gerrard, due giocatori nelle cui vene scorre il sangue della Cop. In panchina siede Rafa Benitez, un allenatore spagnolo che ha stupito durante la sua permanenza a Valencia, vincendo 2 campionati e una coppa Uefa, primo e finora unico trofeo europeo della squadra spagnola. La partita comincia subito in discesa per il Milan: al 1 minuto Maldini raccoglie palla in mezzo all'area e segna, portando il Milan in vantaggio. Il Milan domina il primo tempo, e si porta sul 3-0 con una doppietta di Hernan Crespo, prima del fischio di fine primo tempo. Gli inglesi sono increduli, la squadra non gira. Ma è ora che viene fuori l'orgoglio Reds, il fuoco che anima il cuore impavido di Steven Gerrard, il capitano e primo tifoso del Liverpool, che segna il primo gol di una remuntada che pareva impossibile. Al 60' il risultato é di 3-3 grazie ad un gol segnato da Vladimir Smicer, un centrocampista ceco che regalò l'ultima gioia ai tifosi del Liverpool prima di andare al Bordeaux a fine anno. Il Milan é annientato psicologicamente, Ancelotti pensa giá a fare i cambi in funzione dei calci di rigore, ed é lì che il Milan perde definitivamente la partita: Jerzy Dudek, il portiere polacco del Liverpool, inscena una danza sulla linea di porta che deconcentra i tiratori, portando a sbagliare rigoristi del calibro di Pirlo e Shevchenko, sul cui errore si infrange il sogno del Milan, e si accende quello dei mediocri Reds, portati in paradiso dal proprio portiere. YOU'LL NEVER WALK ALONE

THE MANCHESTER UNITED STORY, part 1: SIR MATT BUSBY AND THE BUSBY BABES

Come quinto post di questo blog, ho voluto chiedere ad un'altra penna di aiutarmi in questo progetto. Il mio amico Andrea Manta, accanitissimo sostenitore della Manchester rossa, collaborerá con me nella stesura di alcuni articoli riguardanti la storia della più famosa squadra del mondo, il Manchester United

MANCHESTER UNITED STORY PART 1: SIR MATT BUSBY & THE BUSBY BABES
“ Non ho mai voluto che il Manchester United fosse secondo a nessuno. Solamente essere i migliori sarebbe stato abbastanza per me.” Sir Matt Busby
Nel 1878 a Manchester nasce il Newton Heath F.C. , una squadra di calciatori del dopolavoro ferroviario, che più tardi avrebbe cambiato nome in Manchester United, il team più famoso nel mondo del calcio, nonché il più vincente della Premier League e uno dei più vincenti di sempre. Il personaggio che ha contribuito in modo fondamentale all’affermazione di questa squadra nell’Olimpo del calcio è un allenatore che sarà sicuramente sconosciuto ai più, almeno qui in Italia: Sir Matt Busby. Lo scozzese detenne fino al 2010 il record come manager più longevo nella storia dello United con ben 24 anni consecutivi in panchina, dal 1945 al 1969, anno in cui fu sorpassato da un altro scozzese molto più famoso: Sir Alex Ferguson. Busby condusse i Red Devils alla vittoria della FA Cup nel 1948 e, dopo tre secondi posti consecutivi nel 1947, 1948 e 1949, riuscì a conquistare il campionato del 1952 a 41 anni di distanza dall’ultimo trionfo del Manchester United. In quegli anni cominciò ad affermarsi grazie ai suoi ragazzi, i Busby Babes. Così chiamati per la loro età giovanissima (l’età media della squadra era di 22 anni), i Busby Babes erano un gruppo di calciatori provenienti dalle giovanili del club, tra cui spiccavano in particolare Bobby Charlton e Duncan Edwards. Con loro portò lo United alla vittoria delle stagioni 1955-56 e 1956-57 e ad essere la prima squadra inglese a partecipare alla Coppa dei Campioni (nel 1956-57). Busby acquistò rilevanza internazionale, tanto da venire contattato da Santiago Bernabeu, il presidente del Real Madrid. A quell’epoca il Real era la squadra più forte del mondo grazie a due campioni come Di Stefano e Gento, che portarono il team spagnolo a vincere 5 Coppe dei Campioni consecutive. Santiago offrì a Matt Busby l’incarico di allenatore dicendogli che sarebbe stato come allenare il paradiso. Rifiutare era pura follia, ma Busby declinò la proposta aggiungendo: “Manchester è il mio paradiso.” Purtroppo tutto sarà sconvolto pochi anni dopo da una delle tragedie più terribili del calcio, la pagina più nera della storia del Manchester United: il disastro aereo di Monaco.
Continua…

LA MALEDIZIONE DI BELA GUTTMANN

BELA chi? Bèla Guttmann è stato uno dei migliori allenatori Ungheresi di calcio. Ha allenato per 40 anni, praticamente morendo in panchina, solo 7 anni dopo l'ultima presenza da allenatore, sulla panchina del Porto. Cosa ha fatto Bela Guttmann? Beh inanzitutto potremmo cominciare raccontando la sua storia, dicendo subito che era ebraico ed era nato nel 1899, quindi ovviamente tutti si chiederanno cosa sia successo a Bela Guttmann durante la seconda guerra mondiale; le versioni sono moltissime, tra cui anche quella dell'internamento in un campo di lavoro nazista, ma anche quella di essere scappato in Portogallo o Sudamerica, perchè al suo ritorno in Ungheria nel 1945, pare sapesse parlare appunto il Portoghese. Allena in Ungheria, Austria, Italia, Brasile, Portogallo, Romania, Argentina, Cipro; insomma, ovunque. Pare inoltre che abbia importato in Brasile il modulo che avrebbe contraddistinto il gioco della Seleçao nei Mondiali del 1958 ed ancora oggi, il 4-2-4. Ma quello che mi interessa raccontare, è del Bèla Guttmann allenatore del Benfica, dal 1959 al 1962. Senza nemmeno dirlo, vince il campionato all'esordio, e perde in quella stagione una sola partita. Ma la cosa importante riguarda l'anno successivo: in quel periodo in Europa se dovevi pensare ad una squadra con la S maiuscola, la Squadra che giocava il miglior calcio e la più forte di tutte era il Real Madrid, di Alfredo Di Stefano (la Saeta Rubia) e Puskas, che aveva vinto le precedenti 5 edizioni della Coppa dei Campioni. Nel 1961 la Coppa dei Campioni viene però stravinta dal Benfica, con 7 vittorie nel torneo, record per la squadra, e la vittoria contro il Barcellona in finale. Nel 1962, il Benfica bissa il successo della stagione precedente, con il contributo determinante di un nuovo acquisto, Eusebio, leggenda del calcio Portoghese, che segna una doppietta in finale. In finale indovina contro chi? Proprio lei, la Squadra più forte del tempo, il Real Madrid, che viene surclassato 5-3, con una strepitosa rimonta nel secondo tempo. Dopo questa partita, Bela Guttmann chiese un premio alla dirigenza, proprio per la vittoria del maggior trofeo Europeo, ma la dirigenza glielo negò: Guttmann, dopo aver rassegnato le proprie dimissioni, lanciò una maledizione, affermando che da lì a 100 anni nessuna squadra portoghese sarebbe stata campione d'europa per due volte, ed il Benfica in particolare, non avrebbe più vinto la Coppa dei Campioni. Tutti lo presero per pazzo. Da allora, il Benfica ha perso tutte le Finali di Coppa dei Campioni che ha giocato, ma la maledizione pare si sia estesa anche alla Coppa Uefa, poichè nel 2012, il Benfica perde la finale all'ultimo minuto, dopo aver perso, appena 3 giorni prima, il Campionato ad opera del Porto, laureatisi campione. In quella stagione, il Benfica perse anche la Coppa Di Portogallo, sempre nello stesso mese del Campionato e della Coppa. Che Bèla Guttmann avesse ragione? Di sicuro, in questo momento, se la starà ridendo.