martedì 29 ottobre 2013

MANCHESTER UNITED STORY PART 7: ROY KEANE & THE WORST TACKLE EVER

“Aggredire è quello che faccio. Vado in guerra. Non riesci ad affrontare una partita di calcio se hai un atteggiamento razionale.” Roy Keane spiega il suo stile di gioco violento

Nel 1993 la squadra dei Red Devils, che già poteva vantarsi di pedine importanti come Schmeichel, Cantona e Giggs, impreziosì la propria rosa con un tassello che si sarebbe rivelato fondamentale. L’irlandese Roy Keane entrò a far parte dello United, da cui andò via “solo” 12 anni dopo, diventando il capitano più vincente della storia del club. Mediano caratterizzato da uno stile di gioco aggressivo e altamente competitivo, Roy viene ricordato più per il suo temperamento irascibile e impulsivo (anche grazie ad alcuni episodi che ne contrassegnarono la carriera) piuttosto per quello che fu effettivamente: un punto di riferimento per il centrocampo, un leader vero e proprio che impostava le azioni di gioco e dava fiducia a tutta la squadra con il suo carattere determinato e volitivo. L’irlandese non arretrava mai, raramente evitava un contrasto e tirava indietro la gamba. Per lui il terreno di gioco era un campo da battaglia e difatti Roy Keane si rivelò per quello che era: non un semplice calciatore, ma un guerriero. Sarebbe stato capace di morire durante la partita, combattendo per la propria squadra. Il suo fondamentale apporto al Manchester United si può riassumere nel discorso che Darren Fletcher fece quattro anni dopo l’addio di Roy all’Old Trafford: “Era il nostro capitano, il nostro leader, ed ha lasciato un segno: se adesso siamo dove siamo è grazie a lui, il nostro impegno viene dalle regole che ci ha imposto.” I suoi primi segni di indisciplina sul campo si manifestarono nel 1995, quando ricevette il suo primo cartellino rosso per aver colpito Southgate con un pestone. Sospeso per tre giornate, quella sarebbe stata la prima espulsione di una lunga serie: ne seguirono altre dieci nella sua carriera allo United. Carriera che oltre alle squalifiche, fu segnata da una serie notevole di infortuni che ne pregiudicarono la continuità e la presenza in campo. Ma l’infortunio che ebbe un risvolto importante nel futuro di Roy, fu quello subito durante la stagione 1997-98 dal norvegese Alf-Inge Håland. Il giocatore del Leeds causò all’irlandese la rottura del legamento crociato anteriore. Dopo lo scontro Håland andò a muso duro su Keane, mentre questi era dolorante a terra, urlandogli di non simulare. Questo portò al famigerato incidente che sarebbe avvenuto quattro anni dopo, nonché l’episodio fondamentale (e anche il più conosciuto) della sua carriera. Durante il derby di Manchester del 2001 infatti, Keane e Håland si incontrarono di nuovo su un campo da calcio e l’irlandese era intenzionato a non fargliela passare liscia. A cinque minuti dal termine della partita, con un intervento assolutamente gratuito Roy entrò volontariamente a gamba tesa sul ginocchio destro dell’avversario, causandone la fine della carriera. Keane fu sospeso per tre giorni e multato di 5000 sterline. Tuttavia nella sua autobiografia l’irlandese rilasciò la seguente dichiarazione: “Avevo aspettato abbastanza. L'ho colpito fottutamente forte. La palla era là (credo). Beccati questo stronzo. E non provare mai più a ghignarmi in faccia che sto simulando un infortunio.” Per tutta risposta la FA lo squalificò per altre cinque giornate e lo multò di altre 150.000 sterline. Roy continuò a dichiarare di non aver nessun rimpianto per ciò che era successo: “Anche dopo, negli spogliatoi, non avevo nessun rimorso. Il mio atteggiamento era: che si fotta. Chi la fa l’aspetti. Ha ricevuto la giusta ricompensa. Ha fatto lo stronzo con me e la mia regola è: occhio per occhio.” L’intervento di Roy Keane su Håland è da molti ritenuto il peggior contrasto della storia, considerandone anche la volontarietà ed i commenti post-partita. Ed è per questo intervento che Roy verrà ricordato per sempre, anche se ingiustamente, viste le sue immense qualità mentali e tattiche che oggi in molti rimpiangono a Manchester. Roy Keane è stata una pedina fondamentale per i successi dell’era di Sir Alex Ferguson e difficilmente potrà essere sostituito.
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domenica 27 ottobre 2013

MANCHESTER UNITED STORY PART 6: ERIC CANTONA – THE KING

“Il momento più bello? Ho tanti bei momenti, ma quello che preferisco più di tutti è quando ho tirato quel calcio all’hooligan.” Eric Cantona

Devono passare 18 anni perché Manchester possa veder giocare un campione paragonabile ai livelli raggiunti da George Best. Un altro talento nel 1992 approda nella sponda rossa della cittadina inglese. Nessuno lo sa ancora, ma diventerà il calciatore più amato dai tifosi dello United. L’unico che può battere Georgie e venire eletto dagli stessi fan come “Calciatore del
secolo” del club. Viene dalla Francia ed anche lui si differenzia da tutti gli altri calciatori per la sua originalità in campo (gioca sempre col colletto della maglia tirato su); anche lui è genio e sregolatezza: Eric Cantona, il Re. Ai tempi del suo acquisto da parte dei Red Devils è considerato una scommessa azzardata. La sua bravura è indiscutibile, ma la sua fama di ribelle ed indisciplinato lo precede. In Francia si rende protagonista di numerosi gesti di stizza nei confronti di allenatori, arbitri ed addirittura compagni di squadra. Insomma, all’inizio degli anni ’90 il Re è conosciuto più per le risse e le scorrettezze che per i numeri ed i gol sul campo. La scommessa dello United si rivela azzeccatissima e ancora una volta l’autore di uno degli acquisti più importanti della storia del club è Sir Alex Ferguson, che decide di puntare sull’incognita francese. Eric ripagherà con gli interessi la fiducia del manager, ma anche a Manchester la sua personalità complicata ed il suo continuo oscillare fra talento e follia contribuirà a regalare al team gioie e dispiaceri. Le gioie non tardano ad arrivare. Cantona si rivela decisivo fin dalla sua prima stagione in maglia rossa portando lo United alla conquista della Premier League dopo 26 anni di assenza. Nella stagione successiva Eric è uno dei protagonisti del Double, con Premier League e FA Cup che si aggiungeranno alla bacheca dei trofei. Ma cominciano anche i dispiaceri. La stagione 1994-95 verrà ricordata a lungo per una delle follie più famose del mondo del calcio e segnerà la carriera del Re per sempre.
Il 25 gennaio 1995 al Selhurst Park di Londra scendono in campo Crystal Palace e Manchester United. Al 60’ un difensore del Crystal Palace commette l’ennesimo fallo della partita su Cantona strattonandogli la maglietta, l’arbitro non lo ammonisce nemmeno. Il Re decide di farsi giustizia da solo e gli tira un calcio. Il guardalinee è vicino e ha visto tutto, Eric viene espulso. Mentre raggiunge il tunnel per dirigersi negli spogliatoi succede l’irreparabile. Il diciottenne Matthew Simmons scende di corsa gli undici gradini che lo separano dai cartelloni pubblicitari e avvicinatosi il più possibile al calciatore gli urla: “Fottiti e torna in Francia, brutto figlio di puttana di un francese!”. Il Re non ci pensa due volte e lo colpisce con un calcio volante, a cui fa seguire una serie di pugni. Finalmente gli steward riescono a fermarlo e a trascinarlo sotto la doccia, ma ormai il danno è fatto. Eric viene arrestato e condannato a 120 ore di servizi sociali.
La sua stagione finisce quel giorno: è sospeso per 8 mesi dal calcio giocato. Pochi giorni dopo l’incidente organizza una conferenza stampa per spiegare l’accaduto. Sarà la più breve della storia, durata appena 30 secondi. Il calciatore si limita a criticare i giornalisti con una sottile metafora: “Quando i gabbiani seguono il peschereccio è perché pensano che verranno gettate in mare delle sardine”, dopodichè ringrazia, si alza e se ne va, lasciando la stampa sbalordita. Ancora una volta il Re stupisce tutti con un suo colpo di genio/follia. L’opinione pubblica si accanirà contro di lui, in molti chiederanno che venga cacciato da Manchester, in molti vociferano di un suo ritiro dal calcio. Eric pensa sul serio di ritirarsi, ma Sir Alex lo convince a continuare e a rimanere con la maglia dei Red Devils. Ancora una volta il manager scozzese ha ragione. Il francese torna a giocare l’1 ottobre 1995 e, naturalmente, a vincere. La stagione si conclude con lo United che diventa la prima squadra inglese a conquistare per due volte il Double, trionfando in Premier League e FA Cup. Ma è nella stagione successiva che il Re scriverà una pagina del calcio degna di essere ricordata per sempre, mettendo a segno uno dei goal più belli mai realizzati nella Premier League (e non solo). È il 21 dicembre 1996 e il Manchester United ospita il Sunderland all’Old Trafford. La partita finirà 5-0, ma è il 40’ e i Red Devils sono avanti soltanto di un gol. Cantona riceve palla a metà campo. È di spalle ed è pressato da due uomini. Con una finta ne ubriaca uno, salta il secondo e si gira. Continuano a marcarlo, Eric con una magia si libera definitivamente del primo uomo, che cerca di falciarlo con un calcione. Il secondo uomo prova a compiere un fallo tattico, ma Cantona si allunga la palla e punta verso la porta. Passa la palla a McClair che gliela restituisce al limite dell’area. Il francese vede il portiere fuori dai pali ed istintivamente prova un pallonetto: tocco sotto e palla indirizzata dritta dritta all’incrocio, sbatte sul palo ed entra in rete. Segue un’esultanza memorabile. Eric si gira a guardare tutto lo stadio con il classico colletto tirato su e alza le braccia come a dire: “Sono io il Re, fate di meglio se vi riesce!”.
Al termine della stagione i Red Devils vincono un'altra volta il campionato, per Cantona è la quarta Premier vinta in cinque stagioni.
Si ritira a soli 30 anni, suscitando scalpore in tutto il mondo. Non è un mistero che un personaggio simile sia rimasto nei cuori dei tifosi dello United che ancora oggi lo inneggiano con cori e birre bevute in suo onore. In onore del Re, l’unico che Manchester abbia mai avuto.

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RORY DELAP, LA FIONDA UMANA


Nel calcio, sono tante le situazioni di calcio da fermo con cui far male: chi dispone di ottimi saltatori può risultare pericoloso su calci d'angolo e punizioni (chi ha Roberto Baggio anche direttamente dal calcio d'angolo), chi ha tiratori eccezionali fa delle punizioni dal limite una delle sue armi migliori, mentre chi ha Rory Delap in squadra utilizza la rimessa laterale come strategia d'attacco. Si, avete capito bene, la rimessa laterale. Il centrocampista irlandese, riesce a lanciare una palla con le mani a 50 yarde, ovvero 46 Metri. Una distanza allucinante, che in un campo da calcio può risultare decisiva. Delap é un centrocampista destro, con un passato da lanciatore di giavellotto, il che giustifica la sua grande potenza nei lanci. Arriva tardi in Premier League, e sempre in squadre di medio-bassa classifica: a dir la veritá, non é un giocatore di grande livello, anzi, non è niente di che. Con lo Stoke City, il cui stadio è stato giudicato "il più rumoroso" d'Inghilterra per la potenza dei cori effettuati dai tifosi, Delap mette in atto la sua qualitá migliore a grandi livelli. In una gara contro l'Arsenal, lo Stoke City realizza i suoi due gol sfruttando due rimesse laterali, grazie alla bravura in gioco aereo di Peter Crouch e Ryan Shawcross, difensore centrale che sistematicamente va in area di rigore quando c'è una rimessa laterale.
Un'abilitá come quella di Delap permette alla squadra di creare occasioni da gol quando altre squadre semplicemente appoggerebbero la palla dietro al centrocampista, ovvero da un'innocua rimessa laterale sulla trequarticampo degli avversari.
É stato detto di lui: "l'unico calciatore che verrá ricordato non per come giocava con i piedi, ma per come usava le mani giocando a calcio"

MANCHESTER UNITED STORY PART 5: PETER SCHMEICHEL – THE GREAT DANE

“Non ricordo come mai cominciai a giocare in porta. Forse perché ero troppo violento per giocare fuori dai pali.” Peter Schmeichel

Molto probabilmente la fortuna e i successi dell’era di Sir Alex Ferguson cominciarono dall’estate 1991, quando fu acquistato il Grande Danese a difendere la porta. Alto 1 metro e 91 per 105 chilogrammi, Peter Schmeichel può essere considerato tranquillamente uno dei portieri più forti che abbiano mai calcato un campo da calcio. Il Manchester United lo comprò dal Brøndby per l’irrisoria cifra di 505 mila sterline, tanto che Ferguson lo definì “l’affare del secolo”. Nel 1992 il suo nome si diffuse a livello internazionale a seguito dell’incredibile conquista dell’Europeo con la Danimarca. Peter parò un rigore a Marco Van Basten in semifinale e fu nominato “Portiere del torneo”. Fino a quel momento era sconosciuto al di fuori della sua nazione d’origine, ma con la maglia dei Red Devils dette il meglio di sé portando lo United alla conquista di 5 Premier League, 3 FA Cup, una Coppa di Lega e una Champions League. Grazie a 22 partite a reti inviolate riuscì a consegnare alla sua squadra nella stagione 1992-93 la prima Premier League dopo 26 anni. Portiere dell’anno nel 1992 e nel 1993, raggiunse però il culmine nella stagione 1998-99.
Fu lui infatti a capitanare il Manchester alla conquista del Treble nel 1999 e a sollevare la coppa dalle grandi orecchie in quella incredibile serata di Barcellona con la fascia al braccio. Oltre alle sue indubbie qualità tra i pali, Schmeichel è rimasto nella storia anche per un’altra sua caratteristica: era solito salire all’attacco nei calci d’angolo quando la sua squadra stava perdendo. Dimostrò la sua bravura anche in questo, terminando la sua carriera con 11 gol all’attivo. Detentore del record per la percentuale di partite in Premier League terminate con le reti inviolate (ben 42%) la sua grandezza è testimoniata anche dalla vittoria di un sondaggio pubblico nel 2001, in cui oltre 200 mila persone lo votarono come miglior portiere di sempre, superando leggende come Lev Yashin e Gordon Banks. Infine fu l’autore di quella che è considerata una delle parate più belle della storia, contro il Rapid Vienna. Cross in mezzo, l’avversario svetta effettuando un colpo di testa ravvicinato. La palla rimbalza ad un metro dalla linea di porta. Da bambino ti insegnano sempre a schiacciare la palla di testa in situazioni offensive, perché in quel modo è quasi impossibile che il portiere la raggiunga. QUASI impossibile. Perché Peter Schmeichel, tra l’incredulità degli avversari e dei suoi stessi compagni di squadra la raggiunge, dimostrando una reattività fuori dal comune. Una parata che è la fotocopia della “parata del secolo”, quella di Gordon Banks su colpo di testa di Pelè. Solo un campione come il Grande Danese poteva riuscire ad emularla.

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ITALIA 2006

Era il Maggio del 2006; il calcio italiano era stato appena scosso dal più grande scandalo degli ultimi 30 anni: CALCIOPOLI. Alcuni dirigenti di svariate società, soprattutto di Serie A, risultano complici di un sistema di pilotaggio di partite attraverso designazioni arbitrali truccate, il tutto capeggiato dallo Juventino Luciano Moggi. In questo clima di devastazione per il calcio italiano, si è materializzato l'avvenimento più emozionante per la mia generazione, la vittoria del Mondiale di Calcio di Germania 2006, da parte della Nazionale Azzurra. Sotto l'egida del POPOPOPOPOOO, o meglio, Seven Nation Army degli White Stripes, lanciata dai tifosi della Roma nel 2005 e ripresa dai tifosi italiani durante il mondiale, gli azzurri conquistarono Berlino contro i galletti francesi. Sulla carta, la Nazionale italiana non era la favorita: l'Argentina aveva campioni come Crespo, Tevez, Cambiasso, Messi; il Brasile aveva in attacco il poker d'assi Kakà-Ronaldo-Adriano-Ronaldinho; la artita. Francia il talento cristallino di Zinedine Zidane, la leggiadria di Henry, Vieira, Makelele; la Germania aveva Ballack, Schweinsteiger, Klose, Kahn, Lahm... Insomma, l'Italia partiva non tra le favorite. Alla prima partita gli azzurri surclassano il Ghana, mentre nella seconda trovano un'ostacolo duro come gli USA e la partita finisce in pareggio. La partita decisiva è quella contro la Repubblica Ceca, e l'Italia trova un protagonista improvviso, Marco Materazzi, che segna il gol del vantaggio, poi consolidato dalla rete di pura grinta di Super Pippo Inzaghi, che segna dopo una discesa solitaria da metà campo, dopo aver superato Cech. L'Italia ipoteca il passaggio del turno e trova agli ottavi l'Australia di Guus Hiddink, l'ex allenatore della Corea del Sud che aveva eliminato l'Italia nel 2002. La partita sembra facile, ma si rivela un calvario, anche per l'espulsione di Materazzi che costringe l'Italia in 10. Quando sembra tutto finito, comincia il Mondiale splendido di Fabio Grosso, un giocatore che ha fatto la sua fortuna con questo mondiale. A partita ormai finita trova l'energia per effettuare una perentoria discesa sulla fascia sinistra, subendo fallo in area. L'arbitro fischia fallo, e Francesco Totti si reca sul dischetto. Quanti di noi hanno sperato che non facesse il cucchiaio? Invece no, Totti spara un missile che si infila alle spalle di Schwarzer, qualificando l'Italia ai quarti di finale, dove gli azzurri trovano e battono l'Ucraina, con doppietta di Toni e gol di Zambrotta. In semi-finale la Germania, i padroni di casa, gli eterni rivali. Non è una partita come le altre, e lo sanno anche i tedeschi: per giorni, prima della partita, i giornali tedeschi prendono in giro gli italiani, dandogli di pizzaioli, mafiosi ecc ecc, tutte le solite offese da crucchi idioti. La partita si gioca al Westfalen Stadion di Dortmund, dove i tedeschi non hanno mai perso. I crucchi sono carichi e fanno loro la partita. Gli azzurri soffrono, ma resistono, anche grazie a Cannavaro e Buffon, protagonisti di un Mondiale incredibile. La partita rimane sullo 0-0 per moltissimi minuti, si va ai supplementari. Entra Del Piero, Lippi lo butta dentro per cercare di dare imprevedibilità agli attacchi italiani: e ha ragione. Il capitano della Juve batte un angolo, Pirlo raccoglie la ribattuta corta della difesa, serve Grosso e...GOOOLL non ci crede nemmeno lui, un'esultanza incredibile. La Germania accusa il colpo e si riversa in attacco. L'Italia è stanca, ma Del Piero è appena entrato: torna in difesa, Cannavaro recupera palla e serve Totti che lancia Gilardino in profondità; Del Piero coglie l'occasione e corre veloce come non mai. Gilardino lo sente e gli serve una palla al vertice dell'area di rigore che lo Juventino non sbaglia, anche perchè aveva da farsi perdonare un errore madornale contro la Francia nella finale degli europei 2000. E' un tripudio di bandiere azzurre, Del Piero continua a correre per esultare, sembra instancabile. Un sogno. La finale dei Mondiali.
Tra noi e la coppa c'è la Francia: una squadra fantastica, con un giocatore superiore a tutti: Zinedine Zidane, che si ritirerà a fine Mondiale. Ma non c'è storia, la nazionale italiana è troppo affiatata, il sogno è stato troppo bello fin'ora e non può finire così. Sembra tutto vano quando Zidane segna il rigore assegnato alla Francia, ma pochi minuti dopo Materazzi svetta in aria e segna un colpo di testa sovrastando Patrick Vieira. Si va ai rigori. Italiani perfetti, Trezeguet sbaglia per la Francia. E' il turno di Grosso. Se segna vinciamo. L'arbitro fischia. Grosso parte, spiazza il portiere e segna. Non ci crede nemmeno lui. Non ci credevamo nemmeno noi. Un sogno che si avvera.


MANCHESTER UNITED STORY PART 4: SIR ALEX FERGUSON'S ERA

“Allenare questo club può diventare un’ossessione.” Sir Alex Ferguson

26 anni e mezzo consecutivi in panchina; 38 trofei tra cui 13 Premier League e 2 Champions League, battendo qualsiasi record immaginabile e diventando l’allenatore più vincente della storia del calcio. Per Sir Alex Ferguson allenare il Manchester United era diventata una vera e propria ossessione. In realtà il calcio stesso era stata per lo scozzese un'ossessione fin da quando era un bambino, come dimostra una sua frase: “La gente dice che la mia è stata un’infanzia povera. Non so cosa intendano dire. Certo, è stata dura, ma non era così male. Forse non avevamo una TV. Non avevamo una macchina. Non avevamo nemmeno un telefono. Ma io pensavo di avere tutto quello che mi serviva: avevo un pallone da calcio.” I tifosi dei Red Devils dovranno aspettare quasi 30 anni per tornare a vincere un trofeo importante. L’ultimo Campionato e l’ultima Coppa dei Campioni erano stati vinti negli anni 60, quando c’erano un baronetto scozzese ad allenare e un fenomeno nordirlandese in squadra. Poi il vuoto, a parte qualche FA Cup e qualche Charity Shield. Finchè in panchina non arriva un altro scozzese, anche lui baronetto, a cambiare totalmente la concezione di manager, a rivoluzionare il Manchester United e a segnare un’impronta fondamentale per tutto il calcio che verrà. Burbero, paonazzo in volto, sempre a masticare freneticamente la sua chewing-gum, Sir Alex Ferguson non utilizzava mezzi termini: le cose le diceva chiaramente, e in faccia ai suoi giocatori. Per questo, molte volte ci sono stati dei litigi all’interno dello spogliatoio, e probabilmente è stato anche questo il segreto del suo successo.
Perché non era un semplice allenatore, uno che ti impartiva ordini agli allenamenti o in partita e finita lì. Fergie era diventato una sorta di figura paterna per tutti i giocatori che ha allenato, per tutti i campioni che sono passati sotto la sua ala e sono cresciuti con lui. Dai più turbolenti come Cantona e Roy Keane, ai più talentuosi come Beckham e Cristiano Ronaldo. Nessuno ha mai visto crescere tanti campioni come il burbero scozzese. Il 6 novembre 1986 diventa manager del Manchester United e porta subito disciplina nello spogliatoio dei Red Devils. I risultati si vedono: dal ventunesimo posto in cui la squadra era relegata, con Fergie lo United finisce la stagione all’undicesimo posto. Per il primo trofeo bisognerà aspettare il 1990 con la vittoria della FA Cup ai danni del Crystal Palace. Intanto la squadra comincia a rinforzarsi e fanno la loro apparizione i primi campioni. Ryan Giggs, Peter Schmeichel e soprattutto Eric Cantona porteranno lo United alla conquista della Premier League nel 1992-93. Da quel momento comincerà una striscia di successi che non hanno eguali nella storia del calcio. Il vertice sarà raggiunto nel 1998-99, la stagione del Treble, con la conquista di Premier League, FA Cup e Champions League. In particolare la Champions, vinta a Barcellona contro il Bayern Monaco grazie ad una incredibile rimonta nei minuti di recupero, è sicuramente la vittoria più bella mai conquistata dallo scozzese. L'incaricato dalla FIFA per la premiazione racconta di quella sera:"Scesi dalla tribuna circa 3 minuti prima della fine della partita, per avvantaggiarmi. Arrivato sul campo, non capivo: i giocatori che avevano vinto, piangevano, mentre quelli che avevano perso, festeggiavano".
Sir Alex Ferguson si ritira nel 2013. Il momento più emozionante è la sua ultima partita all’Old Trafford quando dopo la vittoria per 2-1 contro lo Swansea, pronuncia un toccante discorso d’addio: “Prima di tutto, voglio dire grazie al Manchester United. Non solo ai dirigenti, non solo allo staff medico, non solo allo staff tecnico, ai giocatori o ai tifosi, ma a tutti voi. È stata l'esperienza più fantastica della mia vita. Grazie. Siete stati di fondamentale importanza. Il mio ritiro non significa la fine di questa squadra. Se ci pensate, i goal all'ultimo minuto, le rimonte e anche le sconfitte, fanno parte della storia di questo club. È stata un'esperienza incredibile gestirlo e voglio ringraziare tutti per questo.”
Finisce così un’era, una delle più belle. Ma sicuramente non verrà mai dimenticata. L’alone di grandezza che ha sempre contraddistinto Sir Alex Fergusone avvolge ancora la parte rossa di Manchester: proprio ieri, il 14 ottobre, gli è stata intitolata una via nei pressi delo stadio. La sua leggenda non morirà mai.
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GABRIEL OMAR BATISTUTA

Il 1 Febbraio 1969 nasce il più forte centravanti che l'Argentina abbia mai avuto, e forse il più forte centravanti degli ultimi 40 anni in generale. Il suo nome? Lo conoscerete tutti, Gabriel Omar Batistuta. Una storia particolare quella del RE LEONE, che comincia in Italia prima di arrivare alla Fiorentina, quando, con il Deportivo Italiano, gioca il Torneo di Viareggio; due anni dopo viene acquistato da Cecchi Gori alla Fiorentina. Cosa si può dire di Batigol? Beh, prima di tutto è il capocannoniere assoluto della Fiorentina con oltre 200 gol e anche in serie A, avendo superato Hamrin all'ultima giornata del campionato 1999-2000; si può anche dire che la vera cosa che gli è mancata a Firenze, è lo scudetto, quel maledetto scudetto che sembrava potesse arrivare nel 1998-1999, quando la squadra fiorentina si laureò Campione d'Inverno, per poi terminare il campionato in terza posizione, complice anche l'infortunio del Bomber: probabilmente, se non si fosse infortunato, saremmo a raccontare un'altra storia. Però, non è sempre stato tutto rose e fiori a Firenze: l'ambientamento infatti risulta difficoltoso al 21enne argentino, che stenta a trovare la via del gol nel primo periodo, facendo pensare a tutti che fosse un fallimento. All'improvviso, anche grazie alla nascita del primo figlio, Thiago, Batigol cominciò a segnare e non smise più fino al 14 Maggio 2000, ultima partita in viola, durante la quale supera il record di gol in serie A per un calciatore con la maglia della Fiorentina, detenuto fino a quel momento da Kurt Hamrin. Il passaggio alla Roma gli da lo scudetto, ma sono sicuro che Batigol lo scudetto lo voleva a Firenze, nella città che lo ha reso grande. La carriera in nazionale è fantastica; Maradona di lui disse: "Batistuta è fortissimo, per fortuna è argentino". Vince la Copa America nel 1991 e nel 1993 (nella prima è il Capocannoniere della competizione). Nell'edizione del 1995 è ancora Capocannoniere ma l'Albiceleste viene eliminata ai Quarti. Rimane anche qui il recordman, tutt'ora imbattuto, di gol segnati con la Nazionale. Dopo questa sviolinata sulle caratteristiche del giocatore, mi piacerebbe concentrare il mio articolo su due episodi. Per quanto riguarda il primo, esso si tenne nell'andata della Semifinale di Coppa delle Coppe 1996-1997. Il palcoscenico è di lusso: Camp Nou. La partita è Barcellona-Fiorentina. Il Camp Nou viene gelato da un gol allucinante di Batistuta, che esultando zittisce il pubblico catalano già calato nel silenzio tombale dopo il gol dell'argentino. Un'esultanza incredibile che rimane nei cuori dei tifosi della Fiorentina. L'altro episodio, purtroppo, il cuore dei tifosi della Fiorentina lo ha spezzato, e forse ancora oggi provano dolore a ripensarci: il 26 Novembre 2000 si gioca Roma-Fiorentina. Per i Fiorentini non è mai una partita qualunque, ma quella era ancora più speciale del solito: Batistuta era stato appena ceduto alla Roma di Sensi per 70 miliardi di lire. La partita finì 1-0 per i padroni di casa, ma passò alla storia perchè il Bomber Argentino segnò un gol dei suoi, ma non esultò come al solito, con la mitraglietta, andando alla bandierina o zittendo tutti; semplicemente, si mise a piangere, perchè in quel momento aveva segnato alla sua squadra, ai suoi tifosi. E non lo dimenticherà mai.

MANCHESTER UNITED STORY PART 3: GEORGE BEST – THE FIFTH BEATLE

“Appena è possibile, date palla a George Best", tipico discorso alla squadra di Sir Matt Busby.

Il disastro del 1958 fu un durissimo colpo per il Manchester. Eppure proprio dalle ceneri di Monaco i Red Devils risorsero come una fenice e arrivarono a toccare uno dei livelli più alti di sempre. Tutto merito della “United Trinity”: George Best, Bobby Charlton e Denis Law, uno dei tridenti più fenomenali che il calcio abbia mai visto. In particolare proprio grazie a quel nordirlandese, scovato a Belfast dagli osservatori del Manchester United all’età di 15 anni. Il tesseramento fu immediato e il telegramma che uno degli osservatori inviò a Sir Matt Busby la dice lunga sulle qualità che il giovane George Best dimostrava già all’epoca. Il telegramma inviato da Bob Bishop era il seguente: “Credo di averti trovato un genio”. L’avventura di Best allo United cominciò il 14 settembre 1963, quando a sorpresa venne schierato titolare contro il West Bromwich. Da quel giorno iniziò la carriera di un fenomeno, uno dei giocatori più talentuosi ad aver mai calcato un campo da calcio e anche una delle icone più influenti e amate ancora oggi di questo sport. George era genio e sregolatezza. Fu notato fin da subito non solo per le sue doti con i piedi, ma anche per la sua esuberanza e originalità. Nessuno prima di allora portava i capelli lunghi, nessuno giocava con la maglia fuori dai calzoncini e nessuno osava non mettersi i parastinchi: tutte cose che lui faceva. Concluse la stagione 1963-64, la sua prima con la maglia rossa, con 26 presenze e 6 gol. La successiva stagione fu la prima da titolare per Best e il suo apporto fu fondamentale, tanto da portare i Red Devils alla conquista del campionato, che mancava da 8 anni. Brillò in particolar modo nella vittoria per 2-0 sul Chelsea allo Stamford Bridge, meritandosi gli applausi anche da parte della tifoseria avversaria. Ma la vera svolta per la sua carriera si ebbe nella stagione 1965-66, all’età di 19 anni. La sua leggenda cominciò in un quarto di finale di Coppa dei Campioni il 9 marzo 1966 a Lisbona, contro il Benfica. Georgie mise a segno una doppietta nei primi quindici minuti e procurò un assist contribuendo alla vittoria schiacciante dello United per 1-5.

 Fu proprio dopo quella partita che nacque il suo soprannome: “il quinto Beatle”, così chiamato da un giornale portoghese a causa dei suoi capelli lunghi e della sua somiglianza con un gruppo che in quel momento, proprio in Inghilterra, stava scrivendo la storia della musica. Così come la beatle-mania era partita nel 1963, la georgebest-mania iniziò da quel giorno. Oltre alle gioie per la squadra, che conquistò anche il campionato 1966-67, e per lo stesso Best, che diventò famoso in tutto il mondo, cominciarono anche i primi problemi e grattacapi. George scoprì il divertimento (ed in particolare le ragazze e l’alcol), passando più tempo a Maiorca a divertirsi che a Manchester ad allenarsi o a Belfast dalla famiglia. Iniziarono le prime sbronze, i primi guai con la legge e i primi contrasti con l’allenatore. Nonostante tutto il Quinto Beatle era in formissima, tanto che gli bastava un solo allenamento per smaltire gli effetti delle sbronze, e lo dimostrò anche nella stagione successiva diventando il capocannoniere della squadra. Questa stagione verrà ricordata per sempre dai tifosi dello United perché vide i Red Devils sollevare per la prima volta la Coppa dei Campioni. Battuto il Real Madrid in semifinale con una incredibile rimonta da 3-1 a 3-3 (dopo aver vinto all’Old Trafford per 1-0), il Manchester trionfò sul Benfica per 4-1 con 3 gol nel primo tempo supplementare, di cui uno del Belfast Boy. Georgie aveva appena 22 anni quando vinse la Coppa dei Campioni e il Pallone d’Oro. Doveva essere l’inizio di una gloriosa carriera, invece fu soltanto l’inizio della fine.
Il declino del campione fu inesorabile, soprattutto a causa dell’ alcol e della fama raggiunta. I sei anni seguenti allo United furono abbastanza anonimi se si considera il suo potenziale, contrassegnati da una sempre maggiore dipendenza dai superalcolici e da una crescente abitudine a saltare gli allenamenti e addirittura le partite. George era diventato oramai un calciatore part-time e la stagione 1973-74 fu l’ultima con la maglia dei Red Devils. Inizialmente fu mandato in prestito in Sudafrica, poi il trasferimento in Inghilterra allo Stockport County, che militava in quarta divisione, ufficializzò la fine dell’esperienza con lo United per Georgie. In seguito si trasferì negli USA e girò numerose squadre, senza però mai tornare agli altissimi livelli che l’avevano contraddistinto. Nel frattempo i guai con la legge si fecero sempre più seri. Una notte si schiantò in macchina contro un palo della luce, ricevendo 54 punti intorno agli occhi e salvandosi per miracolo. Fermato dalla polizia l’ennesima sera che guidava ubriaco, dopo non essersi presentato all’udienza in tribunale e dopo una rocambolesca fuga dai poliziotti, Best venne arrestato nel 1984 e restò dietro le sbarre per 3 mesi. Era la fine del mito.
L’alcol fu l’unico avversario che il Quinto Beatle non riuscì a battere. Avversario che ne causerà anche la morte, il 25 novembre 2005 a 59 anni, per problemi al fegato. Una sera ad un tizio deluso che a cena gli fece notare quanto poco bevesse rispose: “Senta, se dovessimo fare una gara, lei arriverebbe secondo. Ho soltanto deciso di non bere troppo stasera.” George Best era così, se decideva una cosa la metteva in atto e sul campo da calcio non aveva rivali. Chissà, se avesse deciso di impegnarsi più seriamente come calciatore e se avesse deciso seriamente di sconfiggere l’alcol. Forse oggi questo slogan sarebbe più vero che mai:

MARADONA, GOOD; PELÉ, BETTER; GEORGE, BEST.

Continua…

IL DERBY DI FIRENZE

Nel quartiere di Campo di Marte a Firenze, adiacenti allo Stadio Artemio Franchi, ci sono due campi di calcio, separati da una siepe ed una strada. Segnate da una storia diversa, Olimpia Firenze e Affrico si contendono il derby di Campo di Marte. L'US Affrico è una polisportiva che ha una storia molto lunga e radicata a Campo di Marte, mentre l'Olimpia Firenze nasce nel 1993 dalla fusione di due squadre del quartiere, e subito comincia a scalare i vari campionati giovanili, fino a dimostrare di essere una splendida realtà a livello giovanile nel panorama calcistico Fiorentino. 
A livello giovanile le due squadre spesso si trovano a confrontarsi, e ovviamente le due partite di andata e ritorno sono le più sentite del campionato. Soprattutto a livello Juniores la partita è maggiormente sentita. Ma la cosa speciale di questo derby è la vicinanza tra i due campi da gioco, che rende inevitabile la vicinanza anche tra i giocatori, tutti amici o al massimo conoscenti, che per quell'ora e mezzo diventano acerrimi nemici, e magari la sera sono tutti insieme a bere una birra in qualche locale. La settimana che precede il derby è ricca di tensione: il martedì si corre, e tutti i pelandroni che in genere sono in fondo al gruppo, questa volta sono i primi, a tirare il gruppo insieme al capitano, il giocatore che la sente di più. Il Giovedì la partitella è giocata alla morte: nessuno tira indietro la gamba, pur mantenendo il rispetto per i compagni, senza provare a far loro del male per tagliarli fuori dalla convocazione. Il giorno prima della partita è tensione pura: c'è chi non esce, chi mangia solo proteine, chi fa serata per sfogare la tensione. E poi arriva finalmente il giorno della partita, il Sabato, il santo Sabato che tutti aspettano dall'inizio del campionato. Fai la borsa la mattina appena sveglio, ben consapevole che giocherai solo 8 ore dopo. Guardi video su youtube, ascolti musica fogante (Europe, colonne sonore di Rocky, Rock&Roll, Green Day le più gettonate). Ti senti con i tuoi compagni, cerchi di creare il clima giusto nello spogliatoio. A pranzo mangi veloce e poco, ma giusto, la pasta al pomodoro e parmigiano del sabato oramai è una costante. Arrivi alla convocazione mezz'ora prima, a casa non ce la facevi più. Il campo è chiuso, deve ancora arrivare il custode, ma i giocatori sono tutti lì: in quel momento capisci che la partita la sentono tutti come la Finale di Champion's League. Primi sfottò tra amici. Il mister vi chiama nello spogliatoio, e comincia a caricare l'ambiente. Dice che la partita è come le altre, ma non ci crede nemmeno lui: lo sa quanto è importante la partita. Da la formazione: sei fuori, in panchina, nella partita più importante. La cosa non ti va giù, lo guardi male, ma inciti comunque i tuoi compagni: sono loro che vanno in campo, te entri dopo. La partita comincia: sugli spalti gremiti, centinaia di ragazzi di Campo di Marte incoraggiano i giocatori, vogliono vedere il sangue. La partita è fallosissima, le due squadre si equivalgono. Finisce il primo tempo in parità: 0-0. Il secondo stessa solfa, partita entusiasmante, ma nessuno prevale. Il mister si gira nervosamente verso la panchina: ti chiama, vatti a scaldare.
Ti metti a bordo campo, due discese, due esercizi. Sei caldo dopo un minuto, anzi eri caldo già da una settimana. Devi dimostrargli che ha sbagliato. Ti butta nella mischia. Entrando incoraggi la squadra. Prima palla toccata sbagli un passaggio; imprechi e fai fallo da dietro per recuperare. Ammonizione. Infamate dal mister. Non vedi palla per 20 minuti, giocano solo loro lì davanti, i tuoi compagni ti lasciano da solo lì davanti, sperando che qualche lancio lungo tu lo riesca a prendere. Ultimi 10 minuti, siamo in difficoltà. Ultimo minuto, la partita è per noi ormai finita, siamo morti, gli avversari continuano a spingerci nella nostra metà campo. Ma è venuto il momento di cambiare la partita. Calcio d'angolo per loro corto sul primo palo, ci sei te rilanci lungo sull'ala che parte. Continui la corsa, lui è da solo contro 3. Si gira indietro ignorando il tuo movimento in profondità dove saresti andato in porta. Salgono tutti. Lancio per la seconda punta che anticipa il suo marcatore e spizza di testa nel vuoto; ci sei te, solo davanti al portiere, un tuo amico. Ma all'amicizia ci pensi la sera, ora c'è da pensare solo al gol. Due passi, rallenti, una finta, lo salti...tiri...caschi per terra. Pur di spaccarti tutto rimani con lo sguardo incollato sulla palla che sembra metterci un'eternità, ma alla fine entra. Non fai in tempo ad alzarti che hai tutti addosso, ma li levi di torno, devi andare verso la panchina, ad abbracciare quel pezzo di merda che non ti ha messo in campo dall'inizio. Lo abbracci come un fratello, uno dei tuoi fratelli in campo. Sei felice. La sera bevi con gli avversari, come se non fosse successo niente.

IL BELGIO

La birra...il parlamento europeo...il Tomorrowland...la cioccolata...il formaggio. Di certo, a pensare al Belgio, non è il calcio la prima cosa che viene in mente. I fiamminghi non hanno infatti una grande tradizione calcistica, esclusa se vogliamo un'oro olimpico ad Anversa nel 1920 ed una parentesi a cavallo tra gli anni '80 e '90 (4 posto a Messico 1986), con Jean Marie Pfaff eletto miglior portiere del mondo nell'anno 1987. Ma qualcosa cambia con l'avvento del nuovo millennio: nel 2000, il Belgio ospita insieme all'Olanda, l'Europeo di calcio, poi vinto dalla Francia in quella finale maledetta che lancina ancora oggi i cuori di noi italiani (tanto la 4 stella del Mondiale ce l'abbiamo noi, galletti di merda). Il calcio in Belgio rinasce: si riattiva il movimento e le scuole calcio si infittiscono di giocatori. Ma è ovviamente dopo almeno 10 anni che se ne vedono i frutti. Potremmo per esempio stilare una lista di giocatori convocabili per i Diavoli Rossi: in porta abbiamo Mignolet e Cortuois, rispettivamente di proprietà di Liverpool e Chelsea; in difesa Boyata, Cavanda, Alderweild, Vermaelen, Kompany, Vertonghen, Van Buyten, Lombaerts. A centrocampo Witsel, Fellaini, Hazard (la ciliegina sulla torta), De Bruyne, Moussa Dembele, Nainggolan, Chadli; in attacco Benteke, Lukaku, Mirallas, Mertens, e Bakkali, il nuovo fenomeno del calcio Belga. Molti di voi non ne conosceranno mezzi, ma questi giocatori militano in squadre di alto livello, come Chelsea, Manchester United, Manchester City, Liverpool, Tottenham, Bayern Monaco, Napoli, Arsenal, e via dicendo. Magari sono solo nomi, ma il fatto che il Belgio sia primo nel girone di qualificazione al mondiale brasiliano del 2014 davanti a Croazia e Serbia, è un dato che fa pensare. Alcuni sono già campioni affermati, altri di questi devono ancora dimostrare il proprio potenziale, ma sono sicuro che ne vedremo delle belle. Ci vediamo a Brasile 2014

MANCHESTER UNITED STORY PART 2: THE MUNICH AIR DISASTER & THE FLOWERS OF MANCHESTER

“Chiesi dove erano gli altri sopravvissuti e mi dissero che non ce ne erano altri. Solo allora compresi l’orrore di Monaco. I Busby Babes non esistevano più.” Bill Foulkes, sopravvissuto al disastro di Monaco

6 febbraio 1958. Questa data è scolpita nella mente dei tifosi del Manchester United, una data che non scorderanno mai. Quel giorno si è scritta la pagina più buia della storia dei Red Devils. Nove anni dopo la tragedia di Superga, che scosse il calcio italiano e pose fine al Grande Torino, un altro disastro aereo segnò l’epilogo di una squadra di campioni. Da allora i Busby Babes, che tanto avevano vinto e tanto avrebbero vinto ancora, non esistono più. Molti di loro non tornarono mai a casa, ma morirono tra la neve di Monaco. L’aereo della British Airways di ritorno da Belgrado, dove il Manchester pareggiò con la Stella Rossa qualificandosi per la semifinale di Coppa dei Campioni, e fermatosi a Monaco per fare rifornimento, si schiantò con a bordo calciatori dello United, tifosi e giornalisti. Venti dei quarantaquattro passeggeri morirono sul colpo e altri tre morirono pochi giorni dopo. Ben otto erano giocatori dei Red Devils, oggi ricordati come “i fiori di Manchester”. Tra di loro anche Duncan Edwards, deceduto due settimane dopo il disastro a soli 21 anni. Rimasto fino al 1998, quando fu spodestato da Michael Owen, il più giovane a giocare in nazionale per l’Inghilterra (debuttò a 18 anni), a detta di George Best, Duncan sarebbe dovuto diventare il giocatore inglese più forte di tutti i tempi e per Bobby Charlton è stato l’unico calciatore che lo ha fatto sentire inferiore. Anche oggi viene considerato uno dei più grandi della storia del calcio. Tra i sopravvissuti Bobby Charlton e Sir Matt Busby. Busby si ruppe il torace restando in condizioni critiche per giorni e non si pensava che potesse sopravvivere tanto che gli fu data l’estrema unzione per ben due volte. Si riprese solo due mesi dopo. A testimonianza della tragedia è stato posto un orologio con la scritta “Feb 6th 1958” in alto e “Munich” in basso, nell’ala sud-est dell’Old Trafford. Ecco i nomi dei fiori del calcio inglese, i fiori di Manchester: Geoff Bent, Roger Byrne, Eddie Colman, Duncan Edwards, Mark Jones, David Pegg, Tommy Taylor, Liam Whelan.
Per non dimenticare.

IL LIVERPOOL DI RAFA BENITEZ

Probabilmente per decidere quale stagione sia la più memorabile degli ultimi dieci anni per i tifosi del Liverpool, c'é da scegliere tra la "5 trophies season", ovvero la stagione 2000-2001, oppure la stagione del ritorno alla vittoria della Champion's League. La finale di Champion's League più stramba e rocambolesca della storia, la notte che ha fatto bestemmiare intere generazioni di milanisti, la Notte di Istambul. Il 25 Maggio 2005 si gioca ad Istambul la finale di Champion's League tra Milan e Liverpool, due gloriose squadre del panorama calcistico europeo. Sulla carta, la superioritá del Milan è evidente: una squadra zeppa di campioni, Maldini, Nesta, Cafu, Pirlo, Seedorf, Kaka, Crespo e Shevchenko, solo per citarne alcuni. Dall'altra parte, il Liverpool FC, con tanti giovani emergenti guidati dalla vecchia guardia di stampo Reds, ovvero Jamie Carragher e Steven Gerrard, due giocatori nelle cui vene scorre il sangue della Cop. In panchina siede Rafa Benitez, un allenatore spagnolo che ha stupito durante la sua permanenza a Valencia, vincendo 2 campionati e una coppa Uefa, primo e finora unico trofeo europeo della squadra spagnola. La partita comincia subito in discesa per il Milan: al 1 minuto Maldini raccoglie palla in mezzo all'area e segna, portando il Milan in vantaggio. Il Milan domina il primo tempo, e si porta sul 3-0 con una doppietta di Hernan Crespo, prima del fischio di fine primo tempo. Gli inglesi sono increduli, la squadra non gira. Ma è ora che viene fuori l'orgoglio Reds, il fuoco che anima il cuore impavido di Steven Gerrard, il capitano e primo tifoso del Liverpool, che segna il primo gol di una remuntada che pareva impossibile. Al 60' il risultato é di 3-3 grazie ad un gol segnato da Vladimir Smicer, un centrocampista ceco che regalò l'ultima gioia ai tifosi del Liverpool prima di andare al Bordeaux a fine anno. Il Milan é annientato psicologicamente, Ancelotti pensa giá a fare i cambi in funzione dei calci di rigore, ed é lì che il Milan perde definitivamente la partita: Jerzy Dudek, il portiere polacco del Liverpool, inscena una danza sulla linea di porta che deconcentra i tiratori, portando a sbagliare rigoristi del calibro di Pirlo e Shevchenko, sul cui errore si infrange il sogno del Milan, e si accende quello dei mediocri Reds, portati in paradiso dal proprio portiere. YOU'LL NEVER WALK ALONE

THE MANCHESTER UNITED STORY, part 1: SIR MATT BUSBY AND THE BUSBY BABES

Come quinto post di questo blog, ho voluto chiedere ad un'altra penna di aiutarmi in questo progetto. Il mio amico Andrea Manta, accanitissimo sostenitore della Manchester rossa, collaborerá con me nella stesura di alcuni articoli riguardanti la storia della più famosa squadra del mondo, il Manchester United

MANCHESTER UNITED STORY PART 1: SIR MATT BUSBY & THE BUSBY BABES
“ Non ho mai voluto che il Manchester United fosse secondo a nessuno. Solamente essere i migliori sarebbe stato abbastanza per me.” Sir Matt Busby
Nel 1878 a Manchester nasce il Newton Heath F.C. , una squadra di calciatori del dopolavoro ferroviario, che più tardi avrebbe cambiato nome in Manchester United, il team più famoso nel mondo del calcio, nonché il più vincente della Premier League e uno dei più vincenti di sempre. Il personaggio che ha contribuito in modo fondamentale all’affermazione di questa squadra nell’Olimpo del calcio è un allenatore che sarà sicuramente sconosciuto ai più, almeno qui in Italia: Sir Matt Busby. Lo scozzese detenne fino al 2010 il record come manager più longevo nella storia dello United con ben 24 anni consecutivi in panchina, dal 1945 al 1969, anno in cui fu sorpassato da un altro scozzese molto più famoso: Sir Alex Ferguson. Busby condusse i Red Devils alla vittoria della FA Cup nel 1948 e, dopo tre secondi posti consecutivi nel 1947, 1948 e 1949, riuscì a conquistare il campionato del 1952 a 41 anni di distanza dall’ultimo trionfo del Manchester United. In quegli anni cominciò ad affermarsi grazie ai suoi ragazzi, i Busby Babes. Così chiamati per la loro età giovanissima (l’età media della squadra era di 22 anni), i Busby Babes erano un gruppo di calciatori provenienti dalle giovanili del club, tra cui spiccavano in particolare Bobby Charlton e Duncan Edwards. Con loro portò lo United alla vittoria delle stagioni 1955-56 e 1956-57 e ad essere la prima squadra inglese a partecipare alla Coppa dei Campioni (nel 1956-57). Busby acquistò rilevanza internazionale, tanto da venire contattato da Santiago Bernabeu, il presidente del Real Madrid. A quell’epoca il Real era la squadra più forte del mondo grazie a due campioni come Di Stefano e Gento, che portarono il team spagnolo a vincere 5 Coppe dei Campioni consecutive. Santiago offrì a Matt Busby l’incarico di allenatore dicendogli che sarebbe stato come allenare il paradiso. Rifiutare era pura follia, ma Busby declinò la proposta aggiungendo: “Manchester è il mio paradiso.” Purtroppo tutto sarà sconvolto pochi anni dopo da una delle tragedie più terribili del calcio, la pagina più nera della storia del Manchester United: il disastro aereo di Monaco.
Continua…

LA MALEDIZIONE DI BELA GUTTMANN

BELA chi? Bèla Guttmann è stato uno dei migliori allenatori Ungheresi di calcio. Ha allenato per 40 anni, praticamente morendo in panchina, solo 7 anni dopo l'ultima presenza da allenatore, sulla panchina del Porto. Cosa ha fatto Bela Guttmann? Beh inanzitutto potremmo cominciare raccontando la sua storia, dicendo subito che era ebraico ed era nato nel 1899, quindi ovviamente tutti si chiederanno cosa sia successo a Bela Guttmann durante la seconda guerra mondiale; le versioni sono moltissime, tra cui anche quella dell'internamento in un campo di lavoro nazista, ma anche quella di essere scappato in Portogallo o Sudamerica, perchè al suo ritorno in Ungheria nel 1945, pare sapesse parlare appunto il Portoghese. Allena in Ungheria, Austria, Italia, Brasile, Portogallo, Romania, Argentina, Cipro; insomma, ovunque. Pare inoltre che abbia importato in Brasile il modulo che avrebbe contraddistinto il gioco della Seleçao nei Mondiali del 1958 ed ancora oggi, il 4-2-4. Ma quello che mi interessa raccontare, è del Bèla Guttmann allenatore del Benfica, dal 1959 al 1962. Senza nemmeno dirlo, vince il campionato all'esordio, e perde in quella stagione una sola partita. Ma la cosa importante riguarda l'anno successivo: in quel periodo in Europa se dovevi pensare ad una squadra con la S maiuscola, la Squadra che giocava il miglior calcio e la più forte di tutte era il Real Madrid, di Alfredo Di Stefano (la Saeta Rubia) e Puskas, che aveva vinto le precedenti 5 edizioni della Coppa dei Campioni. Nel 1961 la Coppa dei Campioni viene però stravinta dal Benfica, con 7 vittorie nel torneo, record per la squadra, e la vittoria contro il Barcellona in finale. Nel 1962, il Benfica bissa il successo della stagione precedente, con il contributo determinante di un nuovo acquisto, Eusebio, leggenda del calcio Portoghese, che segna una doppietta in finale. In finale indovina contro chi? Proprio lei, la Squadra più forte del tempo, il Real Madrid, che viene surclassato 5-3, con una strepitosa rimonta nel secondo tempo. Dopo questa partita, Bela Guttmann chiese un premio alla dirigenza, proprio per la vittoria del maggior trofeo Europeo, ma la dirigenza glielo negò: Guttmann, dopo aver rassegnato le proprie dimissioni, lanciò una maledizione, affermando che da lì a 100 anni nessuna squadra portoghese sarebbe stata campione d'europa per due volte, ed il Benfica in particolare, non avrebbe più vinto la Coppa dei Campioni. Tutti lo presero per pazzo. Da allora, il Benfica ha perso tutte le Finali di Coppa dei Campioni che ha giocato, ma la maledizione pare si sia estesa anche alla Coppa Uefa, poichè nel 2012, il Benfica perde la finale all'ultimo minuto, dopo aver perso, appena 3 giorni prima, il Campionato ad opera del Porto, laureatisi campione. In quella stagione, il Benfica perse anche la Coppa Di Portogallo, sempre nello stesso mese del Campionato e della Coppa. Che Bèla Guttmann avesse ragione? Di sicuro, in questo momento, se la starà ridendo.

IL RITORNO DI JUAN MANUEL "EL LOCO" VARGAS

Qualche anno fa c'era un giocatore peruviano che militava nel Calcio Catania. Il suo allenatore era Walter Zenga, ed era stato acquistato per giocare terzino sinistro; Zenga non ci stava, lo vedeva più offensivo. Una prima parte di campionato da terzino, voti mediocri, poi lo spostamento ad ala sinistra, ed a quel punto cominciarono gli sfaceli. Una locomotiva, cross a grappoli che hanno fatto diventare un buon giocatore anche Maxi Lopez, punizioni calciate con una potenza inaudita: insomma, il nuovo fenomeno del calcio Peruviano. Avviene il passaggio alla Fiorentina di Prandelli, che commette lo stesso errore iniziale di Zenga, ovvero lo mette a giocare come terzino sinistro. Una serie di prestazioni raccapriccianti, tra cui quella di Monaco contro il Bayern in Champion's League, per un giocatore che non fa della difesa la sua arma migliore. Poi Prandelli decide di dargli fiducia come esterno sinistro, complice la squalifica di Mutu, e Vargas viene accostato alle grandi squadre europee, per cifre da capogiro. Pare che il Real Madrid fosse sul punto di offrire 25 Milioni di euro! Fin qui tutto bene, direte voi, ma cominciano le prime difficoltà: il rapporto non proprio idilliaco con il nuovo allenatore (quell'incompetente di Sinisa Mihajilovic), la scoperta della nightlife fiorentina, i litri di jagermeister bevuti ogni sera, gli incidenti d'auto da ubriaco alla guida; insomma, un disastro. Le prestazioni cominciano piano piano a diventare obrobriose, ai limiti della dignità, e Vargas viene ceduto in prestito dopo 4 anni in viola, 104 presenze e 12 gol. Un'anno al Genoa in prestito, venti presenze zero gol, e la dura lotta per la retrocessione che di certo non gli fa avere una grande stagione. Ritorna alla Fiorentina e la società gigliata cerca di piazzarlo tutta l'estate a squadre italiane e non, ma il giocatore non ha molto mercato. Il procuratore cerca, nell'ultima giornata, di convincerlo ad accettare la destinazione Livorno, ma Juan Manuel Vargas non ci sta, preferisce rimanere a Firenze, consapevole di poter avere poche chance, ma convinto di poter ripagare e scusarsi con il pubblico di Firenze. Si allena, dimagrisce, non sembra più "El Loco", ma "El Laboral", il lavoratore. La sua chance arriva il 30/9/2013: la Fiorentina è sotto in casa 1-0 con il Parma; Mister Montella sostituisce Wolski e mette dentro la vecchia guardia: si vede che Vargas è un giocatore diverso, mette 4-5 cross in mezzo, ma nessuno li raccoglie. Al 78' un rimpallo in area lo favorisce, e la piazza dentro. Esplosione del tifo "Ha segnato Vargas!" Attenti tutti, è tornato EL LOCO

THE GRATEST MANAGER ENGLAND NEVER HAD

Per comprendere chi sia il soggetto della citazione che ho inserito come titolo, conviene partire da una notazione geografica. In Inghilterra esiste una contea, il Nottinghamshire, la cui città principale è appunto Nottingham. Ebbene Nottingham era famosa fino al 1978 per la leggenda di Robin Hood, l'eroe che rubava ai ricchi per dare ai poveri, storia che si perde nella nebbia dei miti sassoni. Dal 1978 in avanti, il Nottingham Forest, la seconda squadra di Nottingham, dopo il Notts County FC (club più antico del mondo, 1862), viene inserita nell'albo d'oro della Coppa dei Campioni per due anni consecutivi, interrompendo l'egemonia del Liverpool, che ne avrebbe vinte 4 in 8 anni.
La narrazione in realtà deve partire da Derby, un'altra città inglese molto vicina a Nottingham; nel 1967, quando i Beatles creavano leggende musicali, nasce la leggenda calcistica di BRIAN HOWARD CLOUGH. Brian Clough vince nel 1969 la seconda divisione, e nel 1972 la prima divisione, battendo il Leeds United di Don Revie, il vero grande rivale di Clough. Molti di quelli con cui abitualmente parlo, appena pronuncio Brian Clough, dicono:"chi?" "quello del film?" "chicazz'è!?!", gente che non merita nemmeno di parlare di calcio. Brian Clough è stato il miglior allenatore inglese di tutti i tempi, l'unico a vincere il titolo con squadre di seconda fascia, e soprattutto la Coppa dei Campioni 1979 e 1980, vero fiore all'occhiello della carriera di questo incredibile allenatore. Sicuramente come persona poteva risultare antipatico: spesso offendeva i giornalisti, era arrogante (come clausola per la rescissione del suo contratto con il Leeds chiese 25000£, che fossero pagate le tasse sulla sua casa ed una Mercedes), ed anche molto presuntuoso. Ma come allenatore non si può assolutamente discutere.
La leggenda di Clough si perde nella storia di un calcio incredibilmente entusiasmante, carico di atmosfera, come quello inglese. Morì nel 2004, 11 anni dopo le dimissioni dal Nottingham Forest, dopo 18 anni, 1 campionato vinto, 2 coppe dei campioni, 4 coppe di lega, 1 supercoppa europea e altri titoli minori. Menzione speciale va al suo vice, Peter Taylor, il suo vero braccio destro, senza il quale, probabilmente, oggi non saremo a parlare di leggenda: molti sostenevano, al tempo, che il vero allenatore fosse infatti Taylor; a sostegno di queste affermazioni, c'è il fatto che Taylor non seguì Clough al Leeds, dove fu esonerato 44 giorni dopo. Dal 1976 al 1982 però, Taylor tornò ad assistere Clough al Forest, ed insieme entrarono definitivamente nella storia del calcio. Curiosamente, le due squadre del Derby e del Nottingham, sono acerrime rivali, e l'East Midlands Derby era una partita stupenda da gustare. In conclusione, per la sua importanza, a Brian Clough è stata intitolata la tribuna centrale del City Ground, lo stadio del Forest; rimarrà per sempre nella leggenda del calcio.

IL SIGNIFICATO DEL CALCIO

Benvenuti in questo blog! Mi sono proposto di scrivere alcuni articoli, presumo con cadenza quando mi piglia bene, per esprimere il mio parere sul calcio, non con elementi di attualità (commenti alle partite, ecc ecc, lo lascio fare a Sconcerti), ma con discussioni su eventi, personaggi, curiosità e pura cultura calcistica, presente e futura.
Questo primo articolo ha come titolo IL SIGNIFICATO DEL CALCIO.
Una volta ho sentito una frase che penso possa calzare perfettamente con questo articolo: "ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada lì ricomincia la storia del calcio". L'emozione di ritrovarsi in strada, nel cortile della scuola, al parco l'abbiamo provata tutti. Ma il calcio non è solo gioia e divertimento, il calcio è anche sacrificio di svegliarsi la domenica mattina alle 7 per andare a giocare, di andare ad allenarsi sotto la pioggia con fuori 3 gradi, dover digerire il duro colpo di una decisione dell'allenatore che ti lascia in panchina nella partita più bella.
D'altro canto, in una squadra non esiste solo il giocatore: in una squadra c'è anche l'allenatore. Chi è l'allenatore? L'allenatore è colui che si prende tutte le responsabilità di ogni scelta sbagliata, di ogni risultato negativo. Ogni volta che l'allenatore fa una scelta, c'è qualcuno che lo vorrebbe vedere crivellato di colpi in fondo ad una strada di un quartiere malfamato di Detroit; quanti hanno infamato il proprio allenatore quando ti esclude dalla titolare nella formazione della partita fondamentale per la stagione?
Il calcio è questo, l'unione di sacrifici e gioie, di dolori ed emozioni forti, come quella che provi quando fai un assist con i contro-coglioni e il tuo compagno segna venendoti ad abbracciare. E' anche questo il calcio, provare gioia per i tuoi compagni e insieme ai tuoi compagni, fratelli in campo e fuori, un gruppo che ha un unico obiettivo: non abbandonarsi mai, nelle gioie e nel dolore, avere sempre fiducia dei propri fratelli, che cercheranno sempre di fare tutto a favore della squadra. Il comportamento egoista di un giocatore può essere giustificato, ma dev'essere la squadra, gli altri compagni a fargli capire che non paga, magari sul campo, quando lanciati a rete si serve il fratello che ha fatto la corsa con te fino alla porta, invece di segnare di prepotenza. La gioia del gol è enorme, ma mai come quella interiore di sapere di aver fatto la cosa giusta e di aver fatto felice un compagno.